Lui è Jacopo Tricoli, talentuoso musicista e compositore romano di Grottarossa che si racconta in questa intervista. Un disco vero e proprio ancora non l’ha pubblicato, ma di materiale per non sfigurare al cospetto dei più famosi cantautori romani degli ultimi anni e non solo, ce ne sarebbe a iosa.
Prova ne sono i suoi brani, dal piglio orecchiabile ma raffinato ed originalissimo, che già riscontrano un discreto successo in rete e in molti conoscono e canticchiano ai suoi concerti. E VignaClaraBlog.it, che è sempre alla ricerca dei giovani talenti emergenti – musicali e non – del territorio, non si è voluto far sfuggire l’occasione di intervistarlo.
Com’è nata la tua passione per la musica ?
Dovrei intanto segnalare che sono figlio di una madre quasi diplomata in pianoforte e di un padre che da ragazzo suonava in un complesso, all’epoca così si chiamavano le band, cover dei Beatles.
Per quanto mi riguarda ho iniziato a suonare per necessità, perché qualcuno doveva mettermi un voto sul registro – e doveva essere anche un bel voto, perché la mia media è sempre rimasta molto bassa in ogni ordine scolastico frequentato.
Hai iniziato presto?
Già alle elementari, con scarso risultato, provarono a farmi sedere di fronte al pianoforte ma l’unico vago ricordo di quell’anno di noiosi doposcuola con relativo saggio finale è una canzoncina che tra tremori e palpitazioni dovetti eseguire di fronte ad almeno una cinquantina di genitori sognanti ed esageratamente accondiscendenti.
Una canzoncina su un peperone e una patata, credo, o forse una carota, il ricordo come appunto dicevo è vago, ma testimone inesorabile è una foto scattata che mi ritrae intento a suonare, pallidissimo, di fronte a quello che forse, ancora oggi, è il pubblico più numeroso che abbia mai dovuto intrattenere. Non pagante però!
OK, ma quando prendesti in mano per la prima volta uno strumento ?
Il vero inizio di tutto, il primo approccio alla musica suonata, fu in seconda media, quando finalmente arrivò il professore di ruolo che ci obbligò a scegliere tra il flauto dolce e la chitarra: scelsi la seconda.
Già l’anno successivo uscivano i primi giri d’accordi e i primi versi, irriverenti e cazzoni – si può’ dire cazzoni ?- sulle ragazze della classe, sui professori e sulle secchione che dovevano farci copiare.
E il primo palco calcato?
Fu al liceo, forse in quinto ginnasio, al Villaggio Globale; suonavo la chitarra in una cover band di rock anni ’70. Ma avevo già scritto le prime canzoni e, a dirla tutta, di suonare cover non me ne fregava proprio nulla.
Lo fai come lavoro o nei ritagli di tempo?
Al momento sono senza un lavoro normale; quando mi chiedono, consueta frase di circostanza – cosa fai nella vita, lavori? – rispondo che faccio il musicista, il cantautore. Potete immaginare le facce!
Inizio a rendermi conto, tuttavia, che il lavoro del musicante sia un lavoro a tutti gli effetti, come gli altri tranne per i compensi. Bisogna avere molto coraggio per continuare, mi sento di dirlo a chiunque decida di mettersi in gioco in questo campo, nelle arti in genere; il coraggio di continuare contro tutto e tutti, la forza di rispondere a coloro i quali ti consigliano di rimanere con i piedi per terra, che loro lo sanno – è un mondo difficile questo – il coraggio di non avere i soldi, una sera, per uscire con gli amici.
Come nascono le tue canzoni, componi partendo dalla musica o dai testi?
Questa domanda mi è stata fatta tante volte, non penso d’avere un metodo collaudato, dipende da come gira il momento. Generalmente scrivo canzoni di getto in momenti di sommessa felicità interiore, in quei momenti quando mi sento come un bambino forse, incuriosito e affascinato da qualunque cosa mi circondi, innamorato della vita e del mondo. Di tutto.
La maggior parte delle volte inizio a canticchiare sul giro d’accordi che scaturisce da quei momenti e velocemente registro un appunto sul telefono. Velocemente. L’ho imparato a mie spese. Pazzesco, bastano dieci minuti per scordarsi definitivamente melodia e ritmo scelti.
C’è qualche tema ricorrente nelle tue liriche?
Mah, gli ascoltatori forse un po’ distratti, ci sono anche quelli attenti, spesso sono venuti a dirmi che molte delle canzoni sembrano trattare d’amore. Basta inserire in un testo le parole “lei”, “mia”, “noi”, “nostra” … che la gente ti identifica subito in un romanticone.
L’amore è un argomento forte, vasto, comune; racchiude molto di noi dentro di sè e spesso e volentieri è proprio lui che ci muove nel mondo. Un valido movente. Ritengo di trattare svariati argomenti sulla “condizione umana”.
Quali strumenti suoni oltre alla chitarra?
Sono un autodidatta, suonicchio; diciamo che so accompagnarmi con il piano e riesco a tenere il tempo con la batteria.
Sulla tua pagina Facebook sono postati i video di alcuni tuoi brani – peraltro molto belli, come Aiutami A Capire Il Mondo. Farai o hai già fatto un album?
Ero bello “stortarello”, ricordo, la sera che scrissi “Aiutami A Capire Il Mondo”, avevo litigato con la mia ex, l’avevo lasciata a letto e mi ero rifugiato in sala con una bottiglia di whiskey! Eh sì, sulla pagina ho postato qualche video caricato sul canale Youtube. Roba un po’ datata a dir la verità e rigorosamente fatta in casa.
All’epoca non le avrei mai messe on-line né creato la pagina Fb se non fosse stato un mio amico che di punto in bianco, stanco delle mie continue paranoie, ha preso l’iniziativa e ha creato la pagina costringendomi a farla vivere – sono della Vergine io, perfettino del cavolo ! – Comunque appena trovo qualcuno disposto a tirare fuori un po’ di soldi per le canzoni un disco lo faccio, promesso!
Al momento giro per locali e tratto con i famosi “localari de Roma”. A breve forse caricherò sul tubo una canzone che sta riscuotendo particolare successo nei live e gli amici cominciano a canticchiarla.
L’ultima tua esibizione è stata alla Locanda Blues. Quante date hai fatto finora quest’anno e quali sono previste a breve?
La Locanda, forse fra i migliori locali in cui ho suonato, un palco davvero bello e un fonico che ti mette in condizione di lavorare in maniera professionale, cosa assai rara al giorno d’oggi nei locali romani. In programma ci sono già due concerti, seguitemi on-line per saperne di più.
Da settembre ad oggi ho già fatto quattro live, e in un mese e mezzo non sono pochi. Ho finalmente compreso il concetto che la frequenza dal vivo è direttamente proporzionale a quanto mi sbatto.
Chi sono i musicisti che ti accompagnano sul palco?
I musicisti che suonano con me sono persone d’oro che credono nelle canzoni e che dedicano parte del loro tempo libero al progetto … mi sembra una buona sviolinata, no?
Nelle scalette inserisci spesso cover. Quali sono i tuoi principali riferimenti musicali?
E’ già, le cover. Fa piacere nei live sentir cantare con te persone mai viste prima. I miei riferimenti msicali penso si possano dedurre dalle scalette delle serate. Troppo sintetico?
Tu abiti in zona Cassia-Grottarossa. Qual è il tuo rapporto con il quartiere, influenza in qualche modo la tua musica? Ad esempio, ci sono posti in particolare dove ti rechi più spesso per trovare l’ispirazione ?
Senz’altro orgoglioso di vivere in uno dei territori più verdi della capitale, ad essere sincero, tuttavia penso d’aver scritto la maggior parte delle canzoni fuori dalla nostra città; ho vissuto tre anni a Torino e tre anni a Tivoli facendo la spola con casa di mia madre qui a Roma.
Ma sono romano, cavolo se sono romano, con tutti i pregi e i difetti … E in molti dicono di riconoscere nelle canzoni la scuola cantautorale romana degli ultimi anni e non solo.
Cosa ne pensi della realtà musicale – band, locali, sale di registrazione, ecc. – nel nostro quadrante di città ?
Le band sono molte ma spesso e volentieri senza soldi e conseguentemente poco pubblicizzate; i locali dove poter suonare dal vivo non sono molti e poco interessati a nuove proposte artistiche; si prediligono, per questione di numeri, cover band. Studi di registrazione ne conosco pochi ma sono senz’altro all’avanguardia, forse un po’ piccoli ma con l’arrivo dell’inverno si sta più caldi.
Valerio Di Marco
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