Rivoluzione buoni pasto. Veramente non si potranno più usare per la spesa? Una domanda che interessa oltre due milioni e trecentomila italiani ma la risposta non è facile. Bisognerà vedere i regolamenti e soprattutto i comportamenti di datori di lavoro e gestori. Perché, sia chiaro, l’accumulo di buoni pasto è sempre stato illegittimo anche se finora è stato sempre tollerato.
Da quando sono sbarcati nel nostro Paese, verso la metà degli anni Settanta, infatti, i buoni pasto hanno rappresentato una boccata d’ossigeno per il portafoglio dei lavoratori dipendenti e un mezzo per salvaguardare il potere d’acquisto di intere famiglie. Con la crisi, poi, si sono trasformati in un vero “tesoretto” per almeno 2,3 milioni di persone (tanti gli italiani che usufruiscono dei buoni pasto aziendali) e vengono impiegati nel 70% dei casi come moneta parallela per la spesa del weekend.
La convenienza per il datore di lavoro è data dal fatto che, essendo un rimborso spese, non è assoggettato a prelievo fiscale e contributivo. Se invece viene usato come un elemento di retribuzione come un altro allora non pagarci sopra anche gli oneri equivale a frodare il fisco.
Dal 1° luglio, da quando per effetto della Legge di Stabilità è stato modificato il Testo Unico sulle imposte sui redditi del 1986, è cambiato il regime fiscale anche dei buoni pasto. E’ stato infatti introdotto un nuovo livello di esenzione dalla tassazione per i ticket elettronici, che ha significato un aumento fino a 7 euro del valore dei buoni digitali, mentre per quelli cartacei il tetto di esenzione è rimasto invariato (fermo a 5,29 euro). La legislazione italiana si è allineata così alle linee guida europee e contemporaneamente spinge il mercato dei ticket verso le carte elettroniche.
Ma l’incentivo all’uso del ticket elettronico permette di aumentarne la tracciabilità e, secondo le associazioni dei consumatori, impedirà l’accumulazione dei buoni. In base alla normativa vigente, i ticket (cartacei e non) non sono cedibili ad altri, convertibili in denaro e soprattutto non sono cumulabili.
Pratica, quest’ultima, invece diffusissima tra i consumatori che li spendono tutti in una volta nei supermercati. Con l’arrivo dei ticket digitali, più facilmente tracciabili, per il commercialista Nicola Forte “i datori di lavoro sono in grado di effettuare maggiori controlli: in questo modo dovrebbero tassare l’eventuale quota di utilizzo giornaliero che eccede il limite di 7 euro oppure un utilizzo del buono non appropriato (come appunto l’utilizzo per fare la spesa). Ciò esporrà i datori di lavoro ad una’azione di verifica più incisiva da parte del Fisco.
Anche l’agenzia delle Entrate – conclude Forte – potrà controllare i datori di lavoro ed erogare eventuali sanzioni qualora emergesse un utilizzo non appropriato”.
I clienti dovranno così dire addio alla spesa con i buoni pasto? “Finora i controlli con i ticket cartacei sono stati complicati e dunque praticamente nulli: a giovarne sono stati per primi i consumatori che, in tempi di crisi, sono riusciti ad accrescere il proprio potere d’acquisto, poi le catene alimentari che hanno visto comunque lievitare la propria clientela” spiega Mauro Antonelli del Codacons. Il governo dovrebbe dunque “liberalizzare” questa pratica.
“Ormai sono diventati un sostegno insostituibile per le famiglie che non riescono più ad arrivare alla fine del mese, un apporto fondamentale al reddito” spiega ancora Antonelli “Se si decide di non pranzare o di portare il pranzo da casa, non è in alcun modo pensabile costringere il lavoratore ad usare il ticket di quel giorno solo per il pasto o per la mensa. Una volta acquisito, il diritto all’utilizzo di quel buono pasto deve valere sempre e ovunque, anche in modo cumulativo., tanto più che con 7 euro ti prendi a malapena un panino e una bibita” ha concluso.
Fabrizio Azzali
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