Giunta alla sua XII edizione, torna anche quest’anno “Luglio Suona Bene”, la rassegna dei concerti estivi della cavea dell’Auditorium Parco della Musica. Fra i tanti live in programma segnaliamo, intanto, quello dei Simple Minds, in cartellone domenica 27 luglio con inizio alle ore 21.
Il gruppo capitanato da Jim Kerr, che ha venduto 60 milioni di dischi in tutto il mondo, riproporrà dal vivo i classici del suo repertorio più che trentennale.
“Cosa resterà degli anni ottanta?”, si domandava in note il buon Raf diverso tempo fa. Semplificando e restringendo il quesito all’ambito musicale, siamo propensi a rispondere: “Purple Rain” di Prince, “Born in the USA” di Springsteen (sempre sia lodato!), “Thriller” di Michael Jackson e non molto altro (stop all’elenco!).
E, sempre al netto del tripudio di immondizie musicali che ci ha riservato il cosiddetto “decennio di plastica” (mai epoca fu così sopravvalutata, almeno dal punto di vista delle sette note), ci aggiungiamo senza esitazioni anche i Simple Minds.
Fra il 1982 e il 1989, infatti, la band di Glasgow ha regalato al mondo il fascino new wave di “New Gold Dream” e “Sparkle in the Rain”, il frizzante pop rock di “Once Upon a Time”, il bellissimo “Live in the City of the Light” e la canzone simbolo del “Mandela Day”. Poi, una valanga di raccolte e greatest hits, una serie di album non proprio esaltanti e solo qualche brano ancora in grado di graffiare l’anima.
“Il futuro è alle nostre spalle”, abbiamo sentito dire da Paolo Poli qualche giorno fa. La frase, che il grande attore toscano rivolgeva ironicamente a sé stesso, va bene anche per i Simple Minds, che il loro meglio ce lo hanno già dato e di più non potrebbero proprio fare.
Ma, niente tristezza e, soprattutto, al bando la nostalgia. Non siamo in una puntata di “Meteore”, dove improbabili artisti ci commuovono solo perché la loro canzone (ok, chiamiamola così!) ci ricorda la nostra bella giovinezza. Qui parliamo di musica, e di musica invecchiata bene.
“Someone Somewhere in Summertime”, “Promised You a Miracle” e “Waterfront”, per citare qualche canzone. E, poi, “Ghost Dancing” e “Alive and Kicking”, “Sanctify Yourself” e “Don’t You (Forget About Me)”. Andiamo avanti? No, stop all’elenco, ché avete capito benissimo dove vogliamo andare a parare! Mica “People from Ibiza” o “Disco Band”, mica un pezzo “fast food” e poi un giustificatissimo oblio, fatto salvo, ovviamente, il revival fino allo sfinimento.
D’accordo, lo abbiamo detto, ma lo chiariamo meglio, a scanso di equivoci. L’ispirazione è scemata e l’intensità è calata: i Simple Minds del XXI secolo non ci piacciono e loro lo sanno. Si voltano verso il passato e ripropongono essenzialmente quello, altrimenti non andremmo in molti ai loro concerti oppure staremmo sempre a chiedergli con fastidiosa insistenza “Dooon’t youuu!!!” e tutti gli altri pezzi sopra citati.
E allora? Dov’è il problema? E che (piccola licenza, ci scuserete) ci fa schifo rivederci “Barry Lyndon”? Ci fa, forse, senso risentirci tutto “The Wall” dal vivo? E, poi, non è che stiamo sempre a pensare a come eravamo giovani e spontanei quando la radio passava questa o quella canzone, e a quanto eravamo ingenui e innamorati quando usciva questo o quell’altro film!
E che diamine! Smettiamola di sentirci nostalgici, soprattutto quando si parla degli anni ottanta, cribbio! Questa dei Simple Minds, è roba che è sopravvissuta agli anni ottanta, grazie al Cielo, e suona ancora bene. E noi ce l’andiamo a risentire.
Giovanni Berti
riproduzione riservata – proprietà EdiWebRoma
© RIPRODUZIONE RISERVATA