In attesa del campionato del mondo di calcio, che si giocherà in Brasile dal 12 giugno al 13 luglio, vogliamo ricordare le grandi partite dell’Italia giocate qui a Roma Nord, all’Olimpico e al Flaminio, dal 1934 a oggi. E’ il turno di Italia-Jugoslavia, 1968. OK, non era valida per i mondiali bensì per gli Europei, ma è stata ugualmente un momento chiave nella storia del nostro calcio. E si giocò pure lei all’Olimpico.
Che il campionato europeo di calcio sia una specie di mondiale c’è una scuola di pensiero molto nutrita a sostenerlo. Tanti addirittura lo considerano un mondiale senza Brasile e Argentina.
Sia come sia, sempre di nobilissima competizione si tratta, siano 24 le finaliste, come dalla prossima edizione in Francia, oppure 4, come una volta.
Nel 1968 la fase finale si giocò in Italia. Era la terza edizione, le prime due le avevano vinte l’ U.R.S.S. nel ’60, in Francia, e la Spagna nel ’64, in casa. Il torneo era “spalmato” in due anni e l’ultimo atto era composto da semifinali e finale, che si tenevano nell’arco di pochi giorni in uno dei quattro paesi rimasti in lizza.
Nel 1968, oltre all’Italia giunsero all’epilogo l’Inghilterra campione del mondo in carica, l’U.R.S.S. e la Jugoslavia.
Le sedi prescelte erano Firenze e Napoli per le semifinali e Roma per le due finali (c’era anche quella di consolazione per il 3°posto).
L’Italia del 1968 era quella del “boom” economico oramai attutito, quella delle rivolte studentesche che precedettero l’autunno caldo dell’anno successivo, quella che presto conoscerà i tempi bui delle stragi e degli anni di piombo.
Il calcio, come al solito, era un modo per evadere dai problemi, diversivo nazionale per un popolo che non ha mai amato pensare troppo e che si è spesso arrabbiato più per le sconfitte della Nazionale che per i problemi della società.
Ma torniamo a quell’Europeo. Il 10 giugno Italia e Jugoslavia si affrontarono in finale per la seconda volta….in due giorni. L’8 giugno infatti si erano già sfidate pareggiando 1-1 dopo i tempi supplementari, e dal momento che non erano previsti i calci di rigore, la partita andava rigiocata.
Per la cronaca, le reti di quel primo incontro furono di Dzajic per gli ospiti e Domenghini per l’Italia, che con un tiraccio su punizione a dieci minuti dalla fine salvò l’Italia da una sconfitta sicura: troppo lenta ed involuta la nostra manovra, non avessimo trovato quel jolly avremmo sicuramente perso.
Altro particolare curioso fu che l’Italia era arrivata in finale grazie…a una monetina. Contro l’U.R.S.S. a Napoli, infatti, era finita pure lì in pareggio (0-0), e per decidere chi doveva andare in finale era previsto il sorteggio con monetina. Testa o croce: a volte la storia si fa anche col caso.
E benedetta fu la scelta del nostro capitano Giacinto Facchetti, che quando emerse dal tunnel degli spogliatoi con le braccia alzate al cielo in segno di vittoria fece esplodere il pubblico del San Paolo, rimasto nel frattempo col fiato sospeso in attesa della sentenza, in un grido di giubilo.
Nella finale bis contro gli slavi il CT Ferruccio Valcareggi cambiò cinque uomini rispetto a due giorni prima: dentro Riva, Rosato, Salvadore, De Sisti e Mazzola.
Ma la rosa dei 22 azzurri era nel suo complesso una suadente filastrocca che a leggerla si snocciola il meglio del calcio italiano di quegli anni: da Zoff a Riva, da Albertosi a De Sisti, passando per Burnich, Facchetti, Mazzola e Rivera.
Ad ogni modo, la scelta di cambiarne cinque pagò. L’Italia era visibilmente un’altra squadra rispetto a quella pallida di due giorni prima.
Partenza a spron battuto, e dopo due occasioni targate Riva e Anastasi, la partita ebbe il suo sbocco naturale al 13′, quando lo stesso Riva, in piena area, si ritrovò tra i piedi un pallone calciato malamente da Domenghini; ma non stette lì a domandarsi che farne: se lo aggiustò sul sinistro e concluse fulmineamente alle spalle del portiere avversario Pantelic per il meritato 1-0.
A quel punto, la Jugoslavia iniziò ad attaccare a testa bassa esponendosi alle ripartenze dei nostri, che diedero più volte la sensazione di poter chiudere la pratica.
Il raddoppio arrivò al 31′ con Anastasi, che a coronamento di una bell’azione corale di contropiede, dopo controllo volante al limite dell’area, faceva partire un tiro imprendibile a fil di palo: 2-0 e Jugoslavia virtualmente fuori dai giochi.
La ripresa fu solo accademia e il pubblico sugli spalti cantò ininterrottamente per 45 minuti pregustando la vittoria degli azzurri.
Una vittoria che il triplice fischio dell’arbitro spagnolo Ortiz suggellò cancellando in un colpo trent’anni di delusioni azzurre e, soprattutto, la traumatica eliminazione dal mondiale inglese di due anni prima per mano della Corea del Nord.
Eravamo campioni d’Europa, titolo che ad oggi non siamo ancora riusciti a bissare, e per la prima volta dal 1938 tornavamo ad alzare un trofeo internazionale.
Ma eravamo solo a metà del percorso, perchè due anni dopo, in Messico, quella squadra entrerà definitivamente nella leggenda grazie al mitico 4-3 mondiale dell’Azteca contro la Germania Ovest. Ma questa è un’altra storia.
Valerio Di Marco
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Ma se anche il replay,si fosse concluso con un pareggio…ci sarebbe stata una terza partita?