In attesa del campionato del mondo di calcio, che si giocherà in Brasile dal 12 giugno al 13 luglio, vogliamo ricordare le grandi partite dell’Italia giocate qui a Roma Nord, all’Olimpico e al Flaminio, dal mondiale del 1934 a oggi. E’ il turno di Italia-Uruguay del 25 giugno 1990.
Italia-Uruguay, giocata all’Olimpico, fu gara valida per gli ottavi di finale nella sfortunata cavalcata azzurra a Italia’90, quella delle Notti magiche, conclusasi con l’ eliminazione ai calci di rigore per mano dell’Argentina di Maradona.
Un mondiale dai ricordi dolceamari: il delirio collettivo, i preparativi febbrili, la gioia ad ogni vittoria. Ma poi le lacrime, quei maledetti undici metri, milioni di cuori infranti dopo aver battuto all’unisono per un mese intero di sogni e passione.
Siamo nel 1990, vigilia di Tangentopoli. Al Quirinale c’è Cossiga, il Governo è l’ennesimo guidato da Andreotti, e abbiamo appena finito di costruire quegli stadi che vent’anni dopo saranno già da rifare.Non solo. A Roma vengono costruite due stazioni ferroviarie (Farneto e Vigna Clara) che lavorarono una manciata di giorni poi poi essere chiuse per sempre. Costo? “Solo” 90 miliardi di lire, ovviamente dei contribuenti.
Ma l’Italia è in fermento per il Mondiale, che torna in Europa dopo l’edizione messicana del 1986. Nell’assegnazione vige ancora il criterio dell’alternanza tra Europa e Sud America, di andare a giocare in Qatar con cinquanta gradi all’ombra non passerebbe per la testa a nessuno.
Nonostante le star, il mercato planetario e i miliardi come fossero bruscolini, il calcio è ancora quello di una volta, quello di Novantesimo minuto e delle radioline, della Domenica Sprint la sera alle otto (“viva viva… il goleador”) e delle coppe in chiaro sulla RAI.
Presto arriveranno la sentenza Bosman e le pay-tv a sconvolgere l’universo del pallone e le abitudini di milioni di tifosi.
Nel ‘90 il calcio italiano è all’apice dello splendore
Un anno prima avevamo piazzato tre squadre in altrettante finali delle coppe europee, portandone a casa due con Milan e Napoli, e nella stagione pre-mondiale appena conclusa abbiamo addirittura fatto l’en-plein, con tre vittorie su tre (Milan, Samp e Juve) e la ciliegina della finale di Coppa UEFA per la prima volta tutta italiana (Juventus-Fiorentina).
I calciatori professionisti di ogni angolo del globo sognano di venire a giocare da noi, la Serie A è l’Eldorado, ma gli stranieri per ogni squadra possono essere al massimo tre, per cui se le nostre formazioni dominano in Europa lo devono principalmente agli italiani.
Naturale, quindi, che anche la Nazionale parta coi favori del pronostico nella rassegna iridata che sta prendere il via.
Il Mondiale, che torniamo ad ospitare dopo 56 anni, è un’occasione più unica che rara di vincere di nuovo davanti al nostro pubblico. E’ già accaduto una volta, ma molti nel 1934 non erano ancora nati.
L’Italia ha vinto da poco – otto anni – il suo terzo titolo iridato, ma nel 1990 la fame di vittoria è di nuovo tanta e la voglia di aggiudicarsi quella coppa, realizzata da mani italiane, è più grande che mai.
Chi scenderà in campo
Gli eroi dell’ 82 hanno quasi tutti appeso gli scarpini al chiodo, o stanno per farlo, ma la squadra allenata da Azeglio Vicini è ugualmente fortissima in ogni reparto.
La difesa è quella “milaninterista” con Baresi e Maldini da una parte e Zenga, Bergomi e Ferri dall’altra.
Ma in panchina ci sono anche Vierchowood, Ferrara e De Agostini; a centrocampo, attorno ai piedi fatati del “principe” Giannini ruotano Donadoni, De Napoli, Ancelotti, ma anche Berti e Marocchi pronti a subentrare.
In attacco, Vialli è la stella annunciata, ma ci sono anche il suo compagno nella Samp Mancini, il fantasista della Fiorentina in odor di trasferimento alla Juve Roberto Baggio, l’interista Serena, il napoletano Carnevale e la new-entry Schillaci.
Le prime tre partite del girone contro Austria, Stati Uniti e Cecoslovacchia dovevano essere un brodino caldo da bere in tutta tranquillità, ma per far capitolare le prime due (entrambe battute a fatica 1-0) ce n’è voluto.
Anche coi cechi – sempre loro! – è stata dura (2-0), ma il bilancio finale è comunque positivo. E in tutta onestà, era difficile immaginare un esito diverso dalla qualificazione condita da primo posto nel girone, cosa che tra l’altro ci avrebbe garantito di giocare a Roma fino alle semifinali.
E pazienza se ogni tanto si soffre, l’entusiasmo di un paese in festa perdona anche qualche tentennamento di troppo.
Arrivano gli ottavi
Gli ottavi, dunque. La gara contro l’Uruguay è solo un altro ostacolo verso la finale, un altro tassello nella costruzione di un’impresa. Passare il turno è l’imperativo, la sconfitta non è contemplata, l’Italia deve andare avanti. Ma l’energia è positiva, non c’è costrizione, non c’è aria di processi. L’atmosfera è buona, l’aria effervescente, c’è una nazione intera a spingere la squadra.
I sudamericani, però, sono brutti clienti: tosti, scorbutici, rognosi ma pieni di talento. Difficile giocaci contro, un errore e sei fuori. E poi c’è la regola del 20, quella che vuole l’Uruguay ogni vent’anni protagonista ai Mondiali: vittoria nel 1930, vittoria nel 1950, quarto posto nel 1970.
Nella prima fase hanno faticato parecchio e si sono qualificati all’ultimo tuffo come terzi del girone: pareggio per 0-0 contro la Spagna, sconfitta per 3-1 contro il Belgio e vittoria di misura contro la Corea del Sud con gol qualificazione segnato al 90′ da un giovanissimo Daniel Fonseca, che a fine Mondiale sbarcherà a Cagliari assieme al suo compagno di nazionale Enzo Francescoli.
La rosa, però, annovera anche i genoani Aguilera, Perdomo e Paz, il veronese Gutierrez e, soprattutto, il laziale Ruben Sosa. L’allenatore è Oscar Washington Tabarez, lo stesso che nel 2010 li porterà in semifinale e che tra qualche giorno li guiderà anche in Brasile.
Gli outsider: Schillaci e Baggio
Per l’Italia, doveva essere il Mondiale di Vialli e Mancini, coppia d’oro in blucerchiato, ma finora lo è stato di Totò Schillaci, la sorpresa che non t’aspetti, l’uomo dell’ultimo minuto.
Schillaci è stato l’uragano abbattutosi su un Mondiale dove i protagonisti annunciati erano altri.
La sua è una favola che a raccontarla oggi si fa ancora fatica a credere. Fino all’anno prima giocava nel Messina, in Serie B. Nell’estate del 1989, il passaggio alla Juve, con la quale si guadagna a suon di gol la Nazionale e la convocazione in extremis al Mondiale.
Doveva essere l’attaccante di scorta, quello che non gioca neanche un minuto, e invece nel giro di due partite questo ragazzo con l’accento palermitano e gli occhi spiritati è riuscito a scalzare fior di concorrenti.
La sua stella ha iniziato a brillare fin dalla prima gara contro l’Austria, quando entrato nella ripresa al posto di uno spento Carnevale, ha segnato di testa il gol decisivo a dodici minuti dalla fine.
Contro gli Stati Uniti il copione si ripete, ma il gol non arriva. Nonostante ciò, gioca titolare nella terza partita contro la Cecoslovacchia e abbatte a spallate gli avversari assieme al futuro compagno juventino Roberto Baggio, altra sorpresa “mondiale”.
Alla fine saranno sei i gol totali di Schillaci a Italia’90, impresa che gli varrà il titolo di capocannoniere e lo farà entrare di diritto nella leggenda.
La cronaca dell’incontro
Ma torniamo al 25 giugno, a Italia-Uruguay. L’arbitro è l’inglese Courtney. L’ultima volta che un inglese ci arbitrò contro una sudamericana (Cile-Italia 2-0, mondiali del ’62) finì con una caccia all’uomo a danno dei nostri e la nazionale azzurra ridotta in nove.
Baggio e Schillaci partono di nuovo titolari, Vicini sembra aver messo definitivamente in soffitta Vialli e Carnevale per affidarsi all’estro e alla freschezza della nuova strana coppia, che già al primo minuto sembra voler ricominciare da dove aveva smesso con i cechi: serie di scambi tra i due con cross finale liftato del riccioluto fantasista oramai ex-viola, e semirovesciata volante, fuori di poco, di uno Schillaci in stato di grazia. Sembra il preludio di una gara in discesa, e invece la partita si incattivisce.
Gli uruguaiani diventano fallosi, puntano le caviglie dei nostri, ma quando s’impossessano della palla la fanno girare velocemente mandandoci a vuoto. Il rischio è di finire con la lingua di fuori ed esporci ai loro contropiede. Il primo tempo, comunque, si chiude sullo 0-0.
Nella ripresa, dopo dieci minuti, Vicini manda dentro Serena al posto del suo compagno di squadra nell’Inter Berti. Una punta per un centrocampista. Sarà la mossa decisiva. La partita cambia verso e l’Italia ha una marcia in più.
Un minuto dopo, Schillaci sfiora il gol calciando fuori dopo aver evitato il portiere Alvez in uscita, e al 65′ sarà proprio Serena a servire un assist al bacio per lo stesso Schillaci, che prima fa passare la palla sotto le gambe di Gutierrez e poi scarica una botta micidiale di destro sotto la traversa alle spalle di Alvez: 1-0.
Adesso sì che la gara è in discesa. Lo stadio è una bolgia. Gli uruguaiani si aprono, lasciano spazi e si ha l’impressione che l’Italia possa dilagare.
A cinque minuti dalla fine arriva il raddoppio – meritatissimo – di Serena, che con uno stacco aereo dei suoi, su punizione-cross di Giannini, incorna nell’angoletto e fissa il risultato sul 2-0 archiviando definitivamente la pratica ottavi.
Un altro passo è fatto, un altro tassello è messo. Almeno per un po’ si sognerà ancora inseguendo altri gol sotto il cielo di un’estate italiana.
Valerio Di Marco
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Il C T era Azeglio Vicini nel 86 Enzo Bearzot.