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Aspettando il mondiale ricordiamo Italia-Cecoslovacchia, 1934

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mondiali2014.jpgIn attesa dei campionati mondiali di calcio Brasile 2014, che prenderanno il via il 12 giugno, vogliamo ricordare le grandi partite dell’Italia giocate qui a Roma Nord, all’Olimpico e al Flaminio, dai mondiali del 1934 a oggi. Iniziamo con Italia-Cecoslovacchia, era il 10 giugno 1934.

La prima volta dell’Italia ai Mondiali di calcio fu nel 1934. Dove? In Italia, naturalmente. Perchè due anni prima la nostra federazione aveva ottenuto dalla FIFA l’assegnazione della seconda rassegna iridata dopo quella del 1930 in Uruguay, a cui peraltro l’Italia, come molte altre nazionali europee, non aveva partecipato.

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E a dispetto delle previsioni, gli azzurri quel mondiale lo vinsero battendo in finale a Roma la Cecoslovacchia, al termine di una partita tiratissima durata fino ai tempi supplementari.
Fu la nostra prima Coppa, la prima delle quattro stelle che oggi campeggiano sullo stemma della Federcalcio.

Su quell’affermazione, tuttavia, pesò non poco l’ombra degli “aiutini” arbitrali, concessi per compiacenza verso il regime fascista.

Diversi furono infatti gli episodi dubbi che ci permisero di andare avanti nel corso del torneo. Lo sport, del resto, era il volano trainante di gran parte della propaganda di Mussolini, anche se poi le successive vittorie alle Olimpiadi del 1936 e ai Mondiali del 1938 avrebbero fugato ogni nube su quella vittoria.

Lo stadio

La finale si giocò nello Stadio del Partito Nazionale Fascista, poderosa struttura inaugurata una prima volta nel 1911 e poi, di nuovo, dopo sostanziali modifiche, nel 1927. In occasione dei mondiali ne fu ulteriormente incrementata la capienza.

L’impianto, che il PNF definì come uno tra i più moderni e completi in Europa, sorgeva al posto dell’attuale Stadio Flaminio ed era stato costruito sotto la guida dell’architetto romano Marcello Piacentini, con l’ausilio della ditta Visentini di Torino.

Presentava caratteri tipicamente romani mescolati ai tratti classici dei modelli ellenici, con particolare riferimento allo Stadio Olimpico di Atene, ed era composto da due lunghe gradinate laterali raccordate da un lato a semicerchio, mentre il lato opposto restava aperto e accoglieva gli ingressi per il pubblico e per gli atleti.

All’interno trovavano posto alloggi per 600 atleti, una piscina coperta, palestre, bagni, refettori, sale lettura, punti di ristoro, gli uffici del CONI, quelli delle varie federazioni sportive, e la sede dell’Istituto Nazionale di Educazione Fisica.

Lo stadio era stato pensato inizialmente per l’atletica leggera, e solo a partire dal 1928 fu utilizzato per il calcio. Nel 1931 divenne la “casa” della Lazio, e dal 1940 lo sarà anche della Roma, prima di essere requisito dalle truppe alleate con la liberazione della Capitale. Nel 1957 verrà demolito e sostituito dal “Flaminio”.

10 giugno 1934

Il 10 giugno 1934, come detto, è teatro dell’atto conclusivo del primo Campionato del mondo giocato in Europa.

L’Italia è arrivata in finale dopo aver battuto gli Stati Uniti a Roma negli ottavi, con un perentorio 7-1, la Spagna a Firenze nei quarti e l’Austria a Milano in semifinale, entrambe per 1-0 (con la Spagna è stato necessario giocare due volte visto l’ 1-1 della prima gara e visto che i tempi supplementari sono previsti solo per la finale).

La Cecoslovacchia, invece, ha regolato nell’ordine Romania, Svizzera e Germania, quella stessa Germania dove Hitler inaugurerà di lì a poco il Furherprinzip attribuendosi il ruolo di Capo dello Stato assommandolo a quello di Cancelliere.

L’asse portante della formazione italiana è composto dal “blocco” della Juventus pluriscudettata che detta legge in Serie A: il portiere e capitano Combi, i mediani Monti e Bertolini,la mezzala Ferrari, l’attaccante argentino naturalizzato italiano Orsi, e il centravanti capocannoniere degli ultimi due campionati Borel II.

Ma ci sono anche l’interista Meazza, l’altro argentino naturalizzato Guaita, e il bolognese Schiavio. In panchina, il leggendario Vittorio Pozzo, commissario tecnico per una vita (lo resterà fino al 1948) a cui è legata gran parte della storia della Nazionale italiana ante-guerra.

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L’arbitro è lo svedese Eklind, che ha diretto anche la contestatissima semifinale con l’Austria e che, prima di quell’incontro, si dice abbia incontrato Mussolini.
La scelta di uno svedese da parte della FIFA, comunque, è servita a compensare almeno in parte la mancata assegnazione del torneo alla federazione scandinava, altra pretendente assieme all’Italia.

Lo stadio si presenta esaurito in ogni ordine di posti, anche se, come detto, l’Italia non è partita tra le favorite, e il calcio qui da noi non è ancora così popolare come lo sarà dal dopoguerra in poi.

Il cerimoniale è solenne, di gran lusso, con inni, bandiere, saluti (romani) e applausi.

L’incontro

Il primo tempo scorre via senza particolari sussulti se non un paio di tentativi della squadra azzurra con Guaita e Meazza, che di quella squadra è il faro e la guiderà al successo mondiale anche quattro anni dopo in Francia. Anche Combi è chiamato ad un difficile intervento su tiro di un indemoniato Nejedly.

Nella ripresa il gioco si fa duro e il temibile Puc ne fa le spese dopo un intervento falloso di Ferraris. Costretto ad uscire, rientra dopo qualche minuto e sarà proprio lui, a un quarto d’ora dalla fine, a sbloccare la gara: fuga velocissima nella metà campo italiana e tiro violento quasi dalla linea di fondo, imparabile per Combi. 1-0, palla al centro.

Un gol del genere spezzerebbe le reni a qualsiasi squadra ma non all’Italia, che non si perde d’animo e ricomincia ad attaccare a testa bassa.

Sarà decisivo un cambio tattico di Pozzo, che sposta Guaita al centro dell’attacco e Schiavio sulla destra. Gli azzurri guadagnano velocità sulla fascia e mettono ancora di più in apprensione i difensori centrali avversari al cospetto del nuovo centravanti Guaita, cliente scomodissimo anche per i marcantoni cechi.

E così, dopo sei minuti arriva il pareggio di Orsi con un tiro imprendibile nell’angoletto dove il portiere Planicka non può arrivare: 1-1 e fine dei tempi regolamentari, si andrà all’extra-time.

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Le squadre sono stanche ma nessuna delle due vuole lasciare la Coppa all’altra.

I giocatori italiani si riuniscono nella loro metà campo per raccogliere le residue energie e darsi gli ultimi incoraggiamenti. Si guardano in faccia con l’incertezza negli occhi e il tumulto nel cuore. Le parole non servono.

La vittoria ai supplementari

Quando Eklind fischia l’inizio dei supplementari tutti sanno che quella sarà la mezz’ora decisiva. Gloria o morte (sportiva, s’intende). I ventidue in campo riprendono a correre sul rettangolo verde come leoni pronti a sbranarsi.

Dopo cinque minuti, un tiro potente di Schiavio dal limite dell’area si insacca nella rete avversaria: è il 2-1, è l’apoteosi.

Ma al fischio finale manca ancora una vita e i cechi giocano bene, con passaggi fitti e precisi, con la tecnica mista a velocità. I nostri non la prendono mai. Spesso però il confine tra concretezza e narcisismo è sottilissimo e la squadra in maglia rossa di pericoli seri dalle parti di Combi non ne porta più.

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E allora, dopo 25 minuti di inutile “tiqui-taca” in salsa cecoslovacca, il triplice fischio di Eklind suona come una liberazione e suggella una giornata storica. L’Italia è campione del mondo, è nata la prima stella.

Valerio Di Marco

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