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    Ciao Roma vado a vivere in campagna. E poi?

    Derattizzazioni e disinfestazioni a Roma

    campagna.jpgPagine d’un diario tutt’altro che segreto legato alla decisione di andare a vivere in campagna, lontano da caos, frenesie, arrabbiature per il traffico o per un cassonetto non svuotato. Non si risolvono i problemi, ma almeno si attenuano. E si vive col sorriso stampato sulle labbra, salvo fare il pendolare. E allora..

    A.A.A. affittasi o vendesi, quale sia il tipo di annuncio il mercato immobiliare, oggi in codice rosso, offre prezzi proibitivi per l’una o per l’altra scelta, obbligando tanti romani, giovani coppie o famiglie con prole, a spingersi oltre il raccordo anulare, o addirittura a superare il cartello di benvenuto di un’altra provincia.

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    Questa è stata la mia scelta, messa in campo ormai da cinque anni, marito, figli, un cane (oggi diventati due) e un furgone a traslocare mobili e ricordi in un paesino di duemilacinquecento abitanti della Tuscia viterbese. La mia casa è costata (mutuo trentennale con opzione estinzione dall’aldilà) circa mille euro al metro quadro, una cifra comunque impensabile a Roma, così come a Viterbo.

    Una scelta bucolica è dir poco

    Castagni secolari fanno da cornice alla mia casa, come mantello il monte Cimino, mille metri d’altezza a soffiare una fresca brezza in estate, e qualche fiocco di neve in inverno.

    Ci si tuffa in una realtà ben lontana dalle grandi città, il paese si “addormenta” a novembre per “risvegliarsi” a marzo, piccole formichine, come amo definirle, che rianimano questo pezzo di presepe dove ancora è il dì e la notte, il sorgere e il tramontare del sole, a scandire la vita quotidiana.

    Se una rondine non fa primavera, qui la stagione dei risvegli la si annusa con l’esplosione della natura e la si ode con il cinguettio degli uccelli che tornano e costruiscono i loro nidi sugli alberi o sotto i tetti delle case, in barba a condoni edilizi e a mutui che soffocano noi comuni mortali.

    La chiacchiera al centro del paese, i vecchi saggi che controllano ogni movimento in entrata e in uscita, le donne legate alle tradizioni che tirano la sfoglia per il pranzo domenicale, e i bambini che ancora si sporcano rotolandosi nella terra del giardino comunale, o quelli più grandi che si avventurano al ruscello, canna da pesca e mollica da pasturare, che per le “femmine” c’è ancora tempo.

    Bucolica nel week-end, pendolare negli altri giorni

    Ma questo bucolico dipinto va a cozzare, almeno cinque giorni a settimana, con la realtà che si vive se, nel trasferimento, ci si “dimentica” il lavoro a Roma.

    L’ufficio resta nella capitale, organizzarsi è d’obbligo. Magari, si torna al vecchio caro treno, perché no, in fondo l’agreste vita riporta anche a mezzi di trasporto meno inquinanti, più ecologici e rispettosi dell’ambiente. O forse, semplicemente perché, conti alla mano, il treno resta la soluzione più economica, in un momento di crisi come quella attuale.

    Proviamo con Trenitalia

    Due le opzioni: Orte, dove treni provenienti da Firenze, Ancona, Chiusi o Viterbo (quest’ultimo è l’unico della regione Lazio a servire questa tratta, ma gli orari lasciano spazio a dei tempi morti, che nemmeno una flessibilità in entrata in ufficio di tre ore basterebbe a colmarli) sostano quel tanto che basta per raccogliere un nutrito numero di pendolari da catapultare nella realtà cittadina di Roma Tiburtina o Roma Termini, in poco più di trenta minuti per la prima tappa, quaranta per la seconda.

    Trenitalia la fa da padrona qui, con le sue tradotte vecchie e maleodoranti, accroccate alla meno peggio anche da esasperati viaggiatori che, stanchi per un finestrino rotto o per un sedile dondolante, inventano “tacchie” (si, i cunei di legno utilizzati per bloccare i mobili traballanti resi famosi dal Conte Tacchia di Montesano) per rendere il viaggio meno drammatico.

    Sconsigliato vivamente l’utilizzo a persone affette da problemi di prostata, che i bagni è meglio evitarli in tutti i sensi, basta già solo passarci a porta chiusa per decidere di portarsi in ufficio quel bisogno fisiologico che il freddo invernale può sollecitare.

    Già, il freddo in inverno così come il caldo in estate, sono vissuti dai malcapitati pendolari come un girone infernale dantesco. E c’è ancora da dire che, se due gocce mandano in tilt le strade di Roma, quattro gocce mettono in ginocchio il traffico ferroviario, causando ulteriori ritardi che solo i pendolari scontano.

    E, a pagare è solo il proletario regionale, che deve lasciare il passo al Frecciarossa in giacca e cravatta, che il badge di un operaio o di un impiegato può aspettare per essere strisciato. Di tutto questo, però, e bisogna prenderne atto, Trenitalia chiede venia, propinando sul treno e a ogni stazione una voce che, a prescindere, laconicamente “si scusa per il disagio”.

    La vecchia cara asmatica Roma Nord

    L’altro versante però non va meglio, anzi! Mitica tratta “Roma – Civita Castellana – Viterbo”, o Roma Nord per i nostalgici, dodici corse al giorno per traghettare gli sfortunati viaggiatori dalla “Città dei Papi” a piazzale Flaminio.

    Primo treno della giornata alle ore 4,50, conquista la stazione di arrivo alle ore 7,29, dopo aver tagliato a sud la provincia di Viterbo, per espugnare il versante dei paesi che si affacciano sulla strada Flaminia, fino ad entrare alle porte di Roma nord.

    Qui è Atac Roma, Metrebus per la precisione, a offrire un servizio al pubblico degno del migliore film western.

    Identici i problemi da condividere con gli sventurati di Trenitalia, “mal comune mezzo gaudio”, con l’aggiunta di condizioni di viaggio ordinariamente disumane: stipati in carrozze strutturalmente precarie, i dannati della Roma Nord affrontano quotidianamente viaggi indescrivibili, bisogna provare per credere davvero.

    Ma il fondo, ammesso che davvero questo fondo esista, si è raggiunto nel 2012.

    Quando cadde la neve…

    Febbraio, per la precisione, un inizio febbraio quello che ha regalato anche alla capitale una generosa spruzzata di neve, romantica per gli scenari affascinanti che è riuscita a offrire, ma funesta per i trasporti in genere.

    In barba alle lunghe code sul raccordo anulare di automobilisti increduli, impreparati ma soprattutto incapaci di affrontare una nevicata a Roma, i pendolari della Roma-Viterbo salgono ignari di quanto di lì a poco avrebbero vissuto.

    Prima sosta forzata (di ore, non di minuti) a La Storta, la neve sta creando problemi e il ritardo è d’obbligo, si riparte con la voglia di guadagnare l’uscio di casa e la certezza di poter dire “ce l’ho fatta”.

    Quel viaggio finirà alle 23,30 circa, ma non nelle calde e sicure mura domestiche. È quasi mezzanotte, infatti, quando i militari della Scuola di Fanteria di Cesano ricevono una richiesta di aiuto tanto bizzarra quanto disperata: i pendolari della Roma Nord sono bloccati in aperta campagna, a circa due chilometri dal borgo medievale che fa capo al Municipio XV di Roma Capitale, al freddo e senza cibo né acqua, da più di quattro ore.

    Saranno loro, insieme alla solidarietà dei cittadini di quella ridente frazione di Roma nord, ad aiutare i malcapitati della tormenta di neve, abbandonati invece dalle istituzioni capitoline e soprattutto dall’azienda di trasporto.

    Il “day after” lascia rabbia, veleni e il solito gioco di scaricabarile tra chi dovrebbe offrire e soprattutto garantire un servizio di trasporto pubblico, in un’era moderna e civile, ma dove invece per qualche sentimentale ma nefasto cristallo di acqua caduto dall’alto, si resta per ore bloccati, in aperta campagna, aspettando di essere portati in salvo.

    Questo è l’eccesso, è vero, è l’eccezionalità, a pensarci bene però nemmeno tanto rara se consideriamo che bastano i malumori di Giove Pluvio a creare disservizi, soppressioni e rallentamenti che ritardano, anche di ore, l’ingresso in ufficio o il rientro a casa.

    Vado a vivere in campagna. E poi?

    Questo è quello che comporta una scelta come la mia, di lasciare la città e andare a vivere in campagna. È sapere che il tuo treno non sarà fermato solo da una nevicata eccezionale come quella cantata dal “Califfo”, è il perenne dubbio della partenza in orario, è la certezza di viaggi disumani, è la convinzione del “non so se si parte”, con logica conseguenza del “non so se arriverò”!

    Sonia Lombardi

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    8 COMMENTI

    1. Un assalto pacifico alla sede di Trenitalia potrebbe aiutare, ma gli italiani preferiscono borbottare e rimanere nelle loro disgrazie senza reagire.

    2. tutti accozzati nelle grandi città, senza aria da respirare, senza spazio, senza parcheggi. Capisco nel medio-evo, quando le mura difensive avevano un perchè ma, nell’era della comunicazione digitale che senso ha? Io sono anni che ci penso, inoltre la Tuscia non ha nulla da invidiare alla più blasonata Toscana….

    3. Grazie ,mi è piaciuta molto la tua descrizione di una casa in campagna. Peccato!!!
      Ogni tanto sono tentato anche io di farlo poi …sospetto tutto ciò che hai scritto e
      continuo a rimandare. La mia compagna invece aggiunge anche le paure di vivere isolati .

    4. Chi era l’ex presidente di Trenitalia che si vantava del suo operato e MAI avrebbe accettato una decurtazione dello stipendio…veramente questa e’ l’Italia…

    5. Ciao, avrò letto questo pezzo almeno 4 volte e non mi stanco mai. Oltre a rispecchiare perfettamente la mia situazione, (vita e lavoro a Roma) mi da comunque un po’ di coraggio nel fare il grande passo, al di là dei gravi problemi dei trasporti. Sono oramai decisissimo a trasferirsi con la mia compagna ad Orte, per mordere il costo della vita e per vivere una vita più serena, pendolarismo permettendo. E per la comprensibile paura dell’isolamento penso proprio che prenderò casa vicino la stazione, per muovermi in libertà e raggiungere il lavoro senza stress.

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