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Labaro, quella sconosciuta pista ciclabile

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castel-giubileo.jpgChi nei pressi del GRA abbandona la Flaminia per entrare a Labaro si ritrova in un fitto dedalo di rampe, rotatorie e ponti; in questa selva di piloni di cemento c’è una insolita pista ciclabile che arriva a Castel Giubileo, realizzata nella parte inferiore del grande ponte che scavalca il Tevere.

Trovare la pista tra questa mezza dozzina di cavalcavia non è facile nonostante l’abbondante segnaletica: Labaro, Prima Porta, Salaria, Flaminia, Firenze, Aurelia…in quel turbinio di rampe e cartelli c’è da perdere l’orientamento.
Quando finalmente si riesce ad imboccare Via del Ponte di Castel Giubileo l’accesso alla pista è proprio là.

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La ciclabile corre nella parte inferiore del ponte e va a morire dopo circa 500 metri nella zona industriale di Castel Giubileo dove sorgeva la Fornace Visnolo; realizzata su 2 corsie è ingabbiata da pannelli e reti metalliche così che la vista del Tevere e della Foce del Rio Cremera della Valchetta è quasi impossibile.

In realtà la foce di quel fosso non è certo un bello spettacolo: il Valchetta dopo aver attraversato la campagna di Isola Farnese va a morire nel Tevere trascinando, nell’ultimo tratto, una ingente quantità di rifiuti e detriti.

La ciclabile del ponte è sorvegliata con telecamere e dovrebbe anche essere illuminata durante la notte ma i cavi elettrici delle lampade sono stati tutti strappati e ora inerti pendono dal soffitto.

Dove ha inizio la ciclabile i residenti, in un angolo di verde, nel 2010 hanno ricavato un’area giochi per i bambini attrezzata con scivoli e casette e un piccolo campo di calcio cosi da ingentilire questo luogo dai fortissimi contrasti.

La realizzazione di queste grandi strutture ha stravolto ogni cosa e perfino l’antico ponte romano è soffocato dal cemento. In questi luoghi si può trovare di tutto: orti, baracche di senza tetto, parcheggi, stazioni ferroviarie e oscuri cavalcavia ricolmi di detriti.

Abbiamo scavalcato il ponte diretti a quella che alcuni anni fa avevamo segnalato come una grande discarica a ridosso della diga; l’area posta sotto sequestro dall’Autorità Giudiziaria è stata in effetti bonificata anche se non del tutto. Le montagnole di terra lasciano supporre che là sotto ci siano ancora ingenti quantitativi di rifiuti; nonostante l’area sia stata recintata c’è ancora qualcuno che vi abbandona divani scassati, calcinacci e vecchie cisterne di Eternit.

Se ci si allontana di qualche centinaio di metri, nei pressi di un vecchio impianto estrattivo, c’è poi un’altra discarica.

Questo luogo farebbe la gioia di un acquerellista come Giorgio Griffa maestro nel ritrarre scafi arenati e antiche strutture rugginose; tutta l’impianto è in completo stato di abbandono e affaccia sulla grande ansa che il Tevere compie prima di essere sbarrato dalla “traversa” di Castel Giubileo.

In questa area dal lugubre fascino si dà il cambio chi sversa calcinacci e chi esercita l’antico mestiere; centinaia di fazzoletti sporchi sono appesi ai bassi cespugli come il gran pavese della “love-boat”.

Tornando verso Roma, prima della diga, si passa accanto ad un piacevole laghetto di pesca e ad altri due specchi d’acqua; in realtà i laghetti, originati probabilmente dal riempimento di vecchie cave, sono cinque e posizionati in quella lingua di terra che fronteggia la Necropoli della Celsa.

Anziché tenerli in quello stato miserando se ne potrebbe fare, con poca spesa, un’oasi faunistica destinata ad accogliere acquatici stanziali e di passo.
Il frastuono delle auto potrebbe essere smorzato con delle semplici incannucciate allo stesso modo di come si è fatto nell’Oasi di Macchiatonda (S.Marinella) che confina con un poligono militare molto attivo.
In fin dei conti proporlo non costa niente.

Francesco Gargaglia

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