Attore, doppiatore e direttore del doppiaggio, Luigi “Gino” la Monica, 70 anni, vive sulla Cassia, quartiere che non lascerebbe mai per quanto ne è innamorato. Nella sua lunga carriera ha regalato la sua voce profonda ed incisiva a tantissimi personaggi ed attori internazionali. Avete presente Richard Gere? Beh, è lui.
“Signora Robinson, sta cercando di sedurmi, vero?”, “tu hai tradito Shiva!”, “le leggi le fanno gli uomini e gli uomini sbagliano”: cosa hanno in comune il neo-laureato Dustin Hoffman, il professor Indiana Jones e il gigolò Richard Gere? La voce suadente ed evocativa di Gino la Monica, naturalmente!
VignaClaraBlog.it ha incontrato l’attore e doppiatore partenopeo, che da più di trent’anni vive a Roma Nord, sulla Cassia, e che dal 19 al 30 marzo sarà in scena con “La notte più lunga” al Teatro Cometa Off di via Luca della Robbia, 47 (zona Testaccio).
Cento personaggi in cerca d’autore
Attore, doppiatore e direttore del doppiaggio, Luigi “Gino” la Monica è nato a Portici il 14 marzo del 1944. Nella sua lunga carriera, che abbraccia la televisione, il teatro e il cinema, l’artista napoletano ha regalato la sua voce profonda ed incisiva a tantissimi personaggi ed attori internazionali.
Christopher Walken, William Hurt, Richard Gere, Jeremy Irons, Harrison Ford, James Woods, Sam Neill, Alain Delon, Jeff Bridges, Martin Sheen, Jack Nicholson, Michael Caine, Willem Dafoe, Dustin Hoffman, Robert Redford… l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo, ma pensiamo di aver reso l’idea e non vogliamo certo annoiarvi: la Monica rappresenta l’eccellenza del doppiaggio italiano e ha messo la propria, personalissima, firma su pellicole che hanno fatto la storia del cinema, come “Il laureato”, “Indiana Jones e il tempio maledetto” e “American Gigolò”, per tacer di molte altre.
La sua intensa attività di doppiatore è stata riconosciuta con il Premio Leggio D’Oro come miglior voce televisiva (nel 2010) e con il premio alla carriera del Gran Galà del Doppiaggio (nel 2011).
La Monica, oltre che come straordinario doppiatore, si è distinto anche nei celebri sceneggiati televisivi prodotti e trasmessi dalla RAI a cavallo fra gli anni settanta e ottanta, ricoprendo i ruoli del protagonista ne “I Demoni” e “Il Consigliere Imperiale” (regia di Sandro Bolchi) oltre che ne “Il Signore di Ballantrae” e “L’eredità della priora”, diretti da Anton Giulio Majano. Per quest’ultima performance è stato insignito nel 1981 del Premio Microfono d’Argento come miglior attore televisivo.
Più di recente, è stato il preside della fiction “Caro maestro” e il primario della serie tv “Una donna per amico”. A teatro ha fornito eccellenti interpretazioni ne “Il diario di un pazzo” di Gogol e in”Delitto e Castigo” di Dostoevskij, sempre con la regia di Claudio Boccaccini, oltre ad aver recitato ne “I Tre Moschettieri” di Pino Ammendola.
La Monica sarà l’unico protagonista de “La notte più lunga“, lo spettacolo che, per la regia e la drammaturgia di Emanuela Giovannini, sarà in scena dal 19 al 30 marzo nel cuore di Testaccio, al Teatro Cometa Off.
Immaginate un uomo, un’ossessione e un viaggio in treno attraverso Pirandello, in un’interminabile notte in cui la realtà e l’immaginazione si confondono…
A teatro senza l’abito da sera: a colloquio con Gino La Monica
Da lungo tempo abita sulla Cassia: si trova bene? Sì, vivo dalle parti della “famigerata” via Gradoli fin dal 1982, e mi trovo benissimo. Non cambierei quartiere per nessun motivo. Vivo in una casa con un grande giardino e con una vista bellissima sul parco dell’Insugherata. E’ un pian terreno, non una villa, intendiamoci. Ma sono stato fortunato a trovare una casa con un giardino così bello. E’ stato il motivo per cui, quando l’ho vista, ho deciso di comprarla.
L’aspetto positivo di questa zona credo sia il verde, che c’è in abbondanza. Quello negativo – e non ho paura di essere banale – è il traffico. Da qualche giorno, poi, manca l’illuminazione sulla via Cassia ed è davvero pericoloso. E poi sono indignato per il fatto che ancora non si siano risolti i problemi causati dalle forti piogge di qualche tempo fa, che stanno paralizzando la zona.
È stato ed è molto attivo nel doppiaggio: in definitiva cosa si “perde nella traduzione” e cosa se ne guadagna? Questo, ovviamente, dipende dalla qualità della traduzione e dell’adattamento. Forse pochi sanno che, dopo la traduzione letterale, il testo passa al dialoghista, che è, appunto, colui che adatta i dialoghi sulle labbra degli attori, compiendo un lavoro anche di riscrittura a volte, pur di “stare” nel tempo della battuta pronunciata dall’attore.
Se questo lavoro è fatto bene, nel rispetto dell’originale, cosa che si dovrebbe fare sempre, allora il doppiaggio è un efficacissimo mezzo di diffusione di cultura, poiché rende accessibile a tutti gli italiani l’opera cinematografica o televisiva. Il suo pregio è, quindi, l’immediatezza con cui permette a tutti di fruire del prodotto. Io, però, confesso che preferisco vedere i film in originale coi sottotitoli.
Quali sono le differenze fra gli sceneggiati di una volta e le fiction di adesso? Negli sceneggiati era forte l’impronta del regista e ognuno dava il suo colore, il suo stile a ogni sceneggiato. Si poteva riconoscere la mano di Bolchi, di Majano, di Blasi. Oggi è tutto molto uniforme, è difficile distinguere una regia dall’altra. Ma quello che veramente manca è la matrice letteraria, che c’era nei grandi sceneggiati degli Anni Settanta.
Non si possono certo paragonare Dostoevskij, Stevenson, Cronin con le attuali storie di medici, insegnanti, vinai. Il successo di Montalbano, non sarà forse dovuto alla scrittura di Camilleri? Mi pare evidente. Ecco, ci vorrebbero più operazioni come Montalbano. E poi mi chiedo perché sia scomparso il teatro dalla televisione. Il teatro in tv è stato per anni l’elemento di forza della RAI.
Come sta il teatro, di questi tempi? Diagnosi infausta, dicono. Ma io non dispero. In realtà c’è teatro e teatro. Quello degli stabili, delle grandi cifre, legato alla politica e alle logiche tipiche italiane, va come è sempre andato. Forse un po’ più boccheggiante di prima, o almeno si atteggia a esser questo, ma del resto non può essere altrimenti, dipende dagli incarichi ai vertici e soffre della generale situazione italiana.
Il teatro degli artigiani, delle piccole compagnie, degli autogestiti , invece, è vivo e vivace. L’offerta è tanta e varia e, sempre più spesso, le cose più interessanti si vedono in platee da non più di cento posti. Certo in Italia manca un’educazione al teatro e alla cultura. Bisognerebbe andare a teatro come una cosa quotidiana, normale, senza stare a vestirsi per la serata. Invece, purtroppo, il teatro è ancora un’abitudine prevalentemente borghese.
A proposito del suo personaggio ne “La notte più lunga” ha detto che è capace di “farla essere tutti i Pirandello in uno solo”: cosa intende dire? E’ un testo che attraversa varie tematiche pirandelliane e racchiude in un solo personaggio le anime di diversi personaggi pirandelliani. Quelli che ho più amato, quelli più noti. Quindi, permette di affrontare in un solo personaggio i ruoli più ambiti del teatro italiano.
Il protagonista è un uomo che si serve dei monologhi pirandelliani come sostegno per un viaggio nella sua mente, in cerca di risposte. Ed è lui stesso un personaggio pirandelliano, anche se creato da un’altra autrice. Emanuela Giovannini conosce profondamente il mondo di Pirandello e ha costruito un personaggio che scava dentro di sé, così come Pirandello, nei suoi testi, ha scavato nell’animo umano. Freud ha indagato la psiche, Pirandello ha teatralizzato questa indagine.
Perché il pubblico dovrebbe vedere “La notte più lunga”? Perché porta fortuna! (ride, n.d.r.). Seriamente: perché in un’ora ci si immerge in un mondo che tanti hanno studiato e indagato per anni. Perché permette di riscoprire un classico in una veste contemporanea. E perché è un’occasione per ascoltare parole importanti, pensieri complessi e per riflettere su temi universali. E’ un modo per creare bellezza, insomma.
Se il teatro è un luogo dove una comunità di uomini riscopre i sentimenti più alti e vi partecipa, questo spettacolo rispetta questa regola. E’ una storia che ci riguarda, è una storia che commuove, diverte, intenerisce. E, forse, può fermare, per un momento, il tempo frenetico in cui viviamo e regalare al pubblico un tempo da dedicare alla riflessione.
Giovanni Berti
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