In scena fino a domenica 9 marzo al Teatro Olimpico di Piazza Gentile da Fabriano”, “Vengo a prenderti stasera”, con protagonisti Mauro Di Francesco e Nini Salerno, segna l’esordio alla regia di Diego Abatantuono. In quasi novanta minuti, suddivisi in due atti, viene presentato l’incontro fra un cabarettista fallito e la Morte. La commedia, dai connotati surreali e dalle tinte noir, non sempre funziona, mentre il “terzo tempo” si rivela irresistibilmente spassoso. Abbiamo assistito alla prima.
Dimenticate Ingmar Bergman e “Il Settimo Sigillo”. Non c’è epica né solennità nella morte, soprattutto quando il Tristo Mietitore assume le sembianze stralunate di Nini Salerno e la vittima predestinata è quel pacioccone di Mauro Di Francesco.
Il comico è incredulo, si oppone, vuole posticipare la sua ora, tenta addirittura di proporre altri candidati che esalino l’ultimo respiro al posto suo. Ma non c’è niente da fare: la Signora con la Falce deve fare il suo dovere come un impiegato qualsiasi, anche se non le mancano l’umanità e il sentimento.
La Morte dei Comici ha fretta – deve “ritirare” qualcun altro e ha la Panda parcheggiata in doppia fila – ma nel suo lavoro non lesina né il tempo né le energie, nel tentativo di convincere il povero Maurino che tutto sommato di là starà meglio che di qua. E allora snocciola aneddoti relativi agli ultimi momenti della vita di personaggi celebri del calibro di John Belushi e Alberto Sordi, oltre che di Oscar Wilde.
Risate e Thanatos, con l’intento dichiarato di esorcizzare la paura delle paure, di sottrarre alla morte quell’area oscura che ce la fa temere più di ogni altra cosa. I presupposti per una serata all’insegna del divertimento intelligente (concetto che, purtroppo, ancora viene considerato sempre più spesso alla stregua di un ossimoro non proprio convincente) c’erano tutti, ma questa commedia sembra non mantenere le sue premesse e le sue promesse.
Si ride ma non basta
Certo, si ride e si sorride quasi sempre, e la vicenda scorre via senza intoppi significativi. Ma non basta.
La colpa non è degli attori – che sono riconoscibili, leggeri e mettono parecchio della loro indole nei rispettivi personaggi – né del neo-regista, che aveva di fronte un lavoro non troppo impegnativo. Il difetto sta nel testo, nei dialoghi. O, meglio, nella loro assenza.
Le battute – aforismi, freddure e “botte e risposte”, principalmente – si susseguono l’una dietro l’altra senza che siano corroborate da un’adeguata preparazione, senza che siano costruite per poi essere presentate e servite. Senza che, in definitiva, ci sia quell’effetto dirompente tipico della comicità dissacratoria e quella sensazione di malinconia che avrebbe potuto completarla così efficacemente nel territorio potenzialmente ricchissimo del “politicamente e socialmente non corretto”.
“Vengo a prenderti stasera” è, dunque, un’occasione mancata, il matrimonio fra Ironia e Thanatos non è perfettamente riuscito, nonostante lo spettacolo sia comunque in grado di offrire quasi sempre leggerezza e divertimento.
Si recupera nel terzo tempo
La cifra comica e l’atmosfera, però, cambiano radicalmente nel “terzo tempo”, ossia subito dopo la conclusione dello spettacolo.
Insieme agli attori – che applaudiamo – sale sul palco Diego Abatantuono, che conduce le danze di questa spassosissima appendice, prevista alla fine di tutte le rappresentazioni.
Il neo regista è una forza della natura, è se stesso e suoi amici di una vita lo seguono a meraviglia. E allora via alle prese in giro reciproche, alle storie lontane degli esordi al Derby di Milano, a dipingere e a consolidare un sodalizio umano arrivato prima del successo e rimasto scolpito nel DNA di questi artisti limpidi e spiritosi, di queste persone che sanno cosa significa non prendersi troppo sul serio.
Giovanni Berti
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