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Amarcord, lacrime di pioggia e problemi irrisolti

Galvanica Bruni

pioggia-roma.jpgSettanta millimetri d’acqua caduti in un’ora e Roma s’è trasformata in una piscina a cielo aperto. Quasi da non crederci per quella che continuiamo a definire questo territorio “Città eterna”, la “capitale” (con la c minuscola, altrimenti rientreremmo nel novero di quelli che scambiano la nostra città con un’associazione culturale o con la più nota sinergia di esercenti) o, qualora si volesse tirar fuori dal cilindro reminiscenze latine, “capitolium”.

Inutile cercare soluzioni, che forse ci sono ma non si vogliono (o si possono?) attuare. Ed è pure futile sperare di migliorare la situazione, Roma quando piove è e sarà sempre l’acquitrino che campeggia in queste ore sulle pagine dei social network, complici i navigatori della Rete che hanno approntato una sorta di classifica dell”è piovuto più nella mia zona che nella tua”.

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Ma è inutile dare la colpa oggi all’attuale sindaco Marino né a Gianni Alemanno. E neanche a Rutelli e tampoco a Veltroni. Le colpe sono datate nel tempo e basta dare un’occhiata agli amarcord in bianco e nero proposti da mamma Rai nei palinsesti estivi con la scusa del “non c’è nulla da trasmettere” (ma quanto ci piace questo “nulla” ingrigito al cospetto del tuttonientismo a colori che già ricomincia a serpeggiare in tv) per rendersene conto.

Uno ci ha colpito in maniera particolare, con Dorelli e Vianello protagonisti, entrambi in smoking (davvero: che bello quando la televisione entrava nelle nostre case in maniera elegante al sabato sera) pronti a far ridere con le loro gag parlando degli sconquassi che la pioggia creava a Roma. Si era a cavallo degli anni Sessanta. Anche allora pioveva e già s’allagava tutto.

Moremassi

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