Il fosso della Crescenza ha tutte le carte in regola per essere un bel fosso: nasce nella zona della Storta, attraversa la Valle della Crescenza, costeggia i terreni del centro Ricerche Agricole e solo nel tratto finale si infila in un’area fortemente urbanizzata. Potrebbe essere un bel fosso ma non lo è perché già alle porte di Roma, nei pressi del GRA, comincia il suo deterioramento: un destino comune a tutti i corsi d’acqua che raggiungono la Capitale.
Quello che più meraviglia non è tanto la qualità delle acque e i rifiuti ma il fatto che si dia per scontato che i fossi e i fiumi della nostra città debbano essere necessariamente delle fogne.
Sarà un retaggio del passato quando non c’erano i depuratori e le acque sporche venivano scaricate dove capitava; sarà perché ci abbiamo fatto l’abitudine e osservare queste acque verdognole ricoperte di schiuma non ci fa più effetto. In fin dei conti, a Roma, non si può pretendere di avere le acque del Chisone o dell’Aurina!
Il fosso della Crescenza è lungo circa 9 km e se da sinistra non riceve affluenti sulla destra invece raccoglie le acque del fosso Volusia e del fosso dell’Acqua Traversa (200 metri a monte della confluenza nel Tevere); nel suo percorso il Crescenza attraversa un territorio fatto di basse colline e di seminativi.
Il fosso si presenta sporco già nei pressi della vecchia veientana dove sorge una delle più vergognose discariche di Roma Nord; passa poi al di sotto di Via di Grottarossa e lambisce i terreni del CRA.
Ma proprio in questo tratto di bellissima campagna subisce l’aggressione delle acque sporche provenienti dalla zona di Due Ponti: acque inquinate, schiumose, ricolme di rifiuti che dall’incrocio di Via della Crescenza si immettono nel fosso.
Chi va a correre lungo il tracciato dell’istituto Sperimentale di Cerealicoltura conosce bene questa fogna a cielo aperto e ogni volta che attraversa il piccolo ponte può vedere il suo ribollire schiumoso e inalare a pieni polmoni vapori puzzolenti di chissà quale sostanza.
E’ per questa ragione che nel 2010 si è corso ai ripari e si sta realizzando un’adduttrice fognaria lunga due chilometri e mezzo; i lavori sono finalizzati al risanamento igienico e ambientale dell’intero bacino tramite l’intercettazione di tutte le acque reflue provenienti dagli insediamenti che scaricano nel bacino stesso.
Lavori condotti in parte a cielo aperto e in parte con la tecnica del “microtunneling” e che recentemente hanno portato alla chiusura di Via dei Due Ponti.
In attesa del risanamento, il fosso più sporco che mai, prosegue la sua corsa costeggiando i campi sportivi e dopo aver passato la Flaminia, insieme allo sporchissimo Fosso dell’Acqua Traversa, va ad incrementare il degrado del Tevere.
Abbiamo seguito il percorso in tutti i tratti che potevamo attraversare e lo stato delle acque ci è sembrato sempre lo stesso: acque sporche che scorrono su di un fondo costituito da sedimenti melmosi dove non c’è traccia di vita (eccezion fatta per alcuni germani e qualche gallinella d’acqua).
La fortuna (se così si può dire) del Fosso della Crescenza è che non attraversa insediamenti urbani; la quantità di rifiuti che sono presenti nelle acque e sulle sponde è decisamente inferiore a quelle del Fosso dell’Acqua Traversa. Una magra consolazione.
Francesco Gargaglia
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Il fosso dell’Acqua Traversa
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Chi va a correre lungo il tracciato dell’istituto Sperimentale di Cerealicoltura conosce bene questa fogna a cielo aperto e ogni volta che attraversa il piccolo ponte può vedere il suo ribollire schiumoso e inalare a pieni polmoni vapori puzzolenti di chissà quale sostanza.
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Detersivo direi!
Io saro’ ingenuo ma troverei interessante sapere quali sono questi “insediamenti” che scaricano nel bacino, quando sono stati costruiti e da chi.
Integro l’informazione data dall’amico Francesco Gargaglia precisando anzitutto che il corso d’acqua in questione (affluente di destra del Tevere) é denominato Fosso del Fontaniletto da dove sorge (poco a sud dell’abitato de La Storta) fino all’incrocio con via di Grottarossa: solo da qui in poi é chiamato Fosso della Crescenza, prendendo il nome dalla nobile famiglia dei Crecenzi che per 400 anni ca. é stata proprietaria dell’omonimo castello.
Il Fosso della Crescenza ha come affluente di sinistra il Fosso del Castello che scorre dentro i campi di golf a ridosso del castello della Crescenza.
Il Fosso del Fontaniletto ha invece come ulteriori affluenti di destra anche il Fosso della Mezzaluna (detto anche di Scarsicheto) che scorre a nord di via della Giustiniana, il Fosso dell’Erba Puzza che scorre dentro il Parco di Volusia e che ha come affluente di destra il Fosso dell’Impiccato ed il Fosso del Poggio che scorre dentro l’Istituto di Genetica per la Cerealicoltura, dove scaricano a cielo aperto quasi tutte le abitazioni del versante meridionale del quartiere “Tomba di Nerone” costruite per lo più abusivamente in zona all’epoca agricola negli anni intorno al 1960.
Faccio sapere al sig. Pietro che a scaricare a cielo aperto sono anche non solo le abitazioni del versante settentrionale del quartiere “Tomba di Nerone”, ma anche dei quartieri della Giustiniana e di Borghetto San Carlo: ne é una riprova diretta il fatto che l’adduttrice fognaria programmata dal Comune di Roma non é solo quella di cui si stanno concludendo i lavori su via dei Due Ponti (che tanti disagi iniziati hanno creato negli ultimi giorni), ma anche quella che deve arrivare fino a Borghetto San Carlo e di cui sono iniziati i lavori lungo via della Crescenza.
I lavori per l’adduttrice fognaria attestano la oggettiva mancanza di allaccio in fogna di una marea di case abitate da una moltitudibe di cittadini che oscilla dai 50.000 alle 80.000 persone.
Per ognuna di queste abitazioni si é venuta a determinare una situazione paradossale dovuta al fatto che sono però dotate tutte di servizio idrico e l’ACEA SPA ACQUA emette triimestralmente delle fatture relative al consumo d’acqua che sono comprensive anche della doppia tassa dovuta per l’allaccio ad una fognatura pubblica che non c’é ancora e per la depurazione delle acque che a maggior ragione non può avvenire.
Con sentenza n. 335 del 10 ottobre 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le norme in materia per la depurazione delle acque, quando manchino gli impianti di depurazione: l’illegittimità costituzionale è stata estesa anche alle normative di legge che dispongono il pagamento del servizio fognature e depurazione anche a quei cittadini, come tutti quelli del versante Cassia, che non essendo allacciati alla rete fognaria non usufruiscono del pubblico servizio e quindi della depurazione dei reflui.
La Corte Costituzionale è partita dal semplice presupposto che poiché il canone di depurazione delle acque è un corrispettivo ad un servizio reso (e non un tributo), se non vi è il servizio, come nel caso in oggetto, non può essere chiesto il corrispettivo.
Ne deriva che tutti i cittadini che dimorano in abitazioni della Cassia sprovviste tuttora di allaccio alla fognatura pubblica del Comune hanno il pieno diritto al risarcimento totale di tutte le doppie tasse che hanno indebitamente fin qui pagato su ogni fattura dell’ACEA per l’allaccio alla fognatura pubblica e per la depurazione delle acque.
La situazione ancor più paradossale sta nel fatto che, così facendo, si arriverebbe di fatto anche ad autodenunciarsi di stare a scaricare a cielo aperto ed il Comune dovrebbe conseguentemente prendere dei provvedimenti di chissà quale tipo, che se veramente assunti si tramuterebbero a loro volta in un atto di autoaccusa perché porterebbero alla luce che l’amministrazione capitolina ha coscientemente ignorato questa situazione da ormai 50 anni, preoccupandosi di riconoscerla solo con l’allora Sindaco Veltroni e di finanziare i lavori per l’adduttrice fognaria dal depuratore di Roma Nord fino a Borghetto San Carlo.
Non meravigliatevi! Siamo nel Municipio ove con le “pezze” cartacee si sana ogni cosa.
Il municipio ha consentito regolazrizzazioni di FALSI inbocchi in fogna (e quindi nel FOSSO CRESCENZA) con l’autorizzazione delle ASL!!!!
SIGNORI CARI dico le ASL hanno nel 2008 -e non nel medioevo- autorizzato lo sversamento di liquiami nel fiume ALLA FACCIA DELLLA TUTELA AMBIENTALE.
Sig. GUARGUAGLIA “articoli” anche su questo aspetto. Tutta la documentazione è disponibile sul sito del municipio XX.ù
Saluti
Dice bene caro Bosi. Aggiungo che – spero involontariamente – la 335 provoca un altro pericoloso paradosso: chi inquina paga di meno e viene risarcito….
D’altronde, nel Paese dei condoni, che l’abusivismo e l’illegalità vengano premiati denota una qualche forma di coerenza…
Prof. Paolo,
mi vedo costretto a dissentire dal suo commento, perché la sentenza della corte Costituzionale n. 335/2008 non provoca affatto, nemmeno involontariamente, l’altro pericoloso paradosso secondo cui chi inquina paga di meno e viene risarcito.
La Suprema Corte ha sancito che pretendere il canone di raccolta delle acque reflue ed il canone di depurazione in assenza totale di allaccio alla fognatura comunale costituisce una appropriazione indebita, per cui va restituito ai diretti interessati quanto hanno pagato senza che fosse dovuto: si tratta di un diritto che spetta indistintamente non solo a chi abita in zona agricola ed è provvisto di un proprio autonomo impianto fognario, regolarmente autorizzato, ma anche a chi per un qualunque motivo scarica le proprie acque reflue a cielo aperto sul più vicino corso d’acqua.
Non ritengo corretto il suo accostamento, che a prima vista ha colpito anche me, secondo cui chi inquina pagherebbe addirittura di meno in quanto verrebbe addirittura “risarcito”: Le faccio infatti presente che la restituzione di tutte le somme versate sia per la tariffa fognatura che per la tariffa depurazione, addebitate in tutte le fatture ACEA emesse per la fornitura dei servizi idrici, non esime di certo chi inquina dalla responsabilità del danno ambientale che continua a procurare.
Si tratta di due aspetti distinti e ben separati, comunque non collegati né collegabili, rispetto al secondo dei quali ci sono caso mai da mettere in evidenza anche e soprattutto le gravi responsabilità del Comune di Roma.
Buona parte quanto meno del quartiere “Tomba di Nerone” è sorta abusivamente quando il Comune di Roma non aveva ancora adottato il Piano Regolatore Generale del 1962 (poi definitivamente approvato nel 1965) ed il Piano Regolatore vigente del 1931 non comprendeva l’intero territorio comunale e teneva fuori per intero l’attuale XX° Municipio.
Ciò nonostante tutte le case erano provviste inizialmente di singoli impianti fognari, che si sono dovuti collegare in seguito tra loro tramite collettori per scaricare a cielo aperto al di fuori dell’abitato sul più vicino corso d’acqua solo quando la saturazione edilizia di tutti i lotti (più o meno di 500 mq. ca.) non ha più consentito il corretto funzionamento dei singoli impianti fognari.
Questa situazione è stata del tutto ignorata dal Comune di Roma anche dopo che la Direttiva CEE n. 91/271/CEE del 21 maggio 1991 sulla raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane ha prescritto che anche il Comune di Roma doveva dotarsi entro il 31.12.2005 di reti fognarie per tutti gli agglomerati oppure di sistemi individuali o di altri sistemi adeguati che raggiungessero lo stesso livello di protezione ambientale.
La Direttiva è stata recepita con la stessa scadenza dal D.Lgs. n. 152 dell’11 maggio 1999, senza che il Comune di Roma vi abbia ottemperato: rischia ora una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea.