Home ARTE E CULTURA Sebastiano Somma, da Sciascia a Moccia il passo non è breve

Sebastiano Somma, da Sciascia a Moccia il passo non è breve

Galvanica Bruni

Sebastiano Somma, noto attore di teatro, fiction e cinema, abita da anni a Ponte Milvio. È proprio qui che lo incontriamo, all’interno di un bar e riparati dal vento tagliente, per parlare un po’ di questa piazza  ed un po’ dello spettacolo con cui sarà in scena al Teatro Parioli di Roma dal 23 febbraio: il Giorno della Civetta di Leonardo Sciascia, nel quale interpreta il Capitano Bellodi, carabiniere ex partigiano che, fattosi mandare in Sicilia da Parma, si troverà ad indagare sull’omicidio di un impresario edile scontrandosi contro un muro d’omertà.

Uno spettacolo differente da quella che è stata la programmazione del Teatro Parioli negli ultimi anni. Sì, è un teatro che ha avuto negli anni vicende diverse, una molteplicità di rappresentazioni brillanti ma molto differenti dal tenore della programmazione di questa stagione pianificata dal nuovo direttore artistico, Luigi De Filippo. Una bella occasione, mi fa piacere e onore entrare in un teatro storico dedicato al grande Peppino de Filippo, in particolare con uno spettacolo così impegnativo, con un contenuto così attuale a distanza di tanti anni, sulle reti di collusioni che legano politica e mafia e su quello che è il pensiero mafioso radicato proprio nell’essere umano.

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Proprio per questo contenuto il romanzo fu molto discusso sin dalla sua uscita. Non piacque da una parte per come metteva in luce le collusioni tra politica e mafia, e dall’altra perché alcuni percepivano il personaggio di don Mariano come “troppo simpatico”; del resto una delle frasi più note del romanzo è proprio sua: la divisione degli uomini in categorie, l’ultima dei quali è quella dei “quaquaraquà”. Un’espressione talmente nota da essere diventata parte del parlato comune.

Lo spettacolo, invece, che reazioni ha suscitato finora? Don Mariano è risultato davvero “troppo simpatico”? Ci sono state reazioni molto positive, in particolare da parte dei ragazzi. Applaudivano spesso, in particolare quando si faceva riferimento ai pregi della Sicilia e non ai suoi difetti.
In una battuta si parla della Sicilia come “incredibile e bellissima”, e giù d’applausi. Mi ha molto soddisfatto, perché è proprio ai giovani e alla loro voglia di riscatto, di cambiare le cose, che lo spettacolo si rivolge. Non a caso, sentendosi chiedere dopo lo spettacolo quale personaggio fosse rimasto loro più nel cuore, quasi nessuno parlava di don Mariano Arena: nominavano o Bellodi o Rosa Nicolosi – il cui personaggio simboleggia più di tutti la speranza.
Don Mariano può far sorridere lo spettatore perché ciò che dice sull’umanità è amaramente vero, ma non c’è nessuna vera simpatia.

Bellodi è un personaggio impegnativo da portare in scena: la chiave di lettura più diffusa è che Sciascia si sia ispirato a Dalla Chiesa per crearlo. Posso dire per certo che non è così. Il regista dello spettacolo, Fabrizio Catalano, è il nipote di Sciascia, e mi ha detto che la vera fonte d’ispirazione per il personaggio del Capitano Bellodi fu un comandante dei Carabinieri che Sciascia conobbe di persona.
Un ex partigiano, come Bellodi. Una persona comune. Anche se, vista la notorietà di Dalla Chiesa, non mi sorprende siano in molti a vedere dei punti di contatto. Ci sono, eccome.

 

Il finale del Giorno della Civetta è amaro; pensa che questa possibilità di “riscatto” sia comunque presente nella volontà di Bellodi di ritornare in Sicilia nonostante tutto? Sì. Bellodi passa da un momento di sconforto (“Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto.”) alla consapevolezza che lui, comunque, in Sicilia ci tornerà. “Mi ci romperò la testa,” dice, ma ci tornerà. Ecco, quello è il messaggio che è importante dare ai giovani: insistere, riprovarci. Di voglia di riscatto ne hanno tanta, e l’ ho visto bene nelle loro reazioni. Dobbiamo puntare su quella. I giovani sono i nostri interlocutori più importanti.

A proposito di giovani, Ponte Milvio è frequentato da moltissimi ragazzi. Capita mai che la convivenza sia difficile? Il vero problema non sta nel numero dei giovani che frequentano i locali a Ponte Milvio, ma nel non rispetto delle regole, nel poco controllo al di fuori delle strade principali. Sulla stradina dove abito io, ad esempio, non c’è controllo: se vieni di notte trovi di tutto. Bottiglie rotte, cocci. Mi capita anche di rientrare la sera con la mia bambina e di trovare gente che fa i bisogni davanti al portone di casa

Per non parlare dell’inquinamento acustico, perché ci sono molti locali gli uni attaccati agli altri all’interno di quello che comunque è un centro abitato. Una volta ho chiamato i vigili per segnalare il rumore troppo forte, e chi ha risposto mi ha detto che i locali possono tenere la musica fino alle quattro del mattino. Ho chiesto il suo nominativo, e mi ha attaccato il telefono.

Questa è una zona meravigliosa, ed io di giorno l’adoro, ma da aprile a ottobre, diventa un po’ traumatica. Molto, veramente. Io non mi rivolgo ai giovani, che fanno quello che devono fare. I giovani si divertono, nulla in contrario. Ma qualcuno dovrebbe assicurare il rispetto delle regole.

Eppure recentemente c’è stata anche una visita del sindaco, e si è parlato molto di preservare il ponte e risolvere il problema dei lucchetti. Un osservatore esterno non penserebbe che la zona sia abbandonata. Sì, ero lì quel giorno. Ho incrociato Alemanno, l’ ho anche salutato, ma non sapevo cosa stessero facendo lì. Poi ho visto la baraonda di fotografi e gente che parlava di questa storia dei lucchetti, se spostarli o meno, cosa farci.

Onestamente penso sia una cosa su cui poter sorridere a lungo. È vero, la quantità enorme di lucchetti può disturbare e si può trovare un altro modo per lasciare un simbolo sul ponte. È comunque il simbolo di un sentimento, un bel sentimento. Mi dà proprio gioia sapere che tanti ragazzi vogliono lasciare un simbolo del proprio amore.

Quello che mi fa sorridere è che, a quanto mi hanno detto, il giorno prima abbiano cancellato le scritte sul ponte perché sapevano che il giorno successivo sarebbe arrivato Alemanno. Sono queste le cose che non vanno. Il degrado sta nel fatto che non ci sono regole, non ci sono paletti. Il degrado sta nella poca attenzione che si dà nel garantire la tutela della gente che vive nel quartiere. Non si attaccassero ai lucchetti, insomma.

Lei parla di mancanza di regole e di educazione civica. Pensa sia questa la causa del disastroso ingorgo in occasione dell’apertura del centro commerciale qui a Ponte Milvio? Molti hanno lasciato la macchina in doppia o tripla fila per ore. È riuscito a sfuggire al traffico, o ci è rimasto intrappolato? Io per fortuna ho guardato quel disastro dal balcone, ma mia moglie solo per uscire dal garage ci ha messo tre quarti d’ora. Questi però sono argomenti che non conosco a fondo.
So che ci sono state parecchie lamentele per questo centro, ma so anche che questo centro commerciale ha avuto in passato molte difficoltà oggettive per vari problemi logistici.

A mio parere questo tipo di iniziativa andava dislocata, e non collocata in un quartiere abitato. Ma, sempre a mio parere, è stato un tentativo di creare movimento in un posto morto in seguito ad una profonda crisi; ci può essere stata la voglia di recuperare un palazzo intero. Del resto, ci sarà sempre chi accusa disagi: i negozianti accusano il colpo del dislocamento dei grandi centri commerciali dicendo che la gente non cammina più per strada, poi ci sono comunque lamentele per i centri commerciali come questo all’interno della città… non è una situazione facile.

Tuttavia negli ultimi anni c’è stata davvero poca attenzione data a quest’area, all’ambiente, alle regole. Sono un sostenitore del movimento e dell’economia, ma dover fare telefonate a destra e sinistra per essere rispettato sotto il profilo umano e civile, per poter dormire, non mi va bene.

Alessandra Pacelli

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