Home ATTUALITÀ Teatro Olimpico: torna Salemme con il suo esilarante “Astice al Veleno”

Teatro Olimpico: torna Salemme con il suo esilarante “Astice al Veleno”

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Dopo lo straordinario successo dello scorso anno, torna al Teatro Olimpico, dal 10 novembre al 4 dicembre, “L’Astice al Veleno”, la commedia che alla fine di una lunga tournée ha realizzato più di 130 repliche ed oltre centomila spettatori. Lo spettacolo, scritto ed interpretato da Vincenzo Salemme, regala ritmo serrato, battute a raffica, tempi comici perfettamente congegnati e sette canzoni originali ben inserite nella storia, lasciando spazio anche per l’irresistibile improvvisazione del mattatore napoletano e dei suoi ottimi compagni di strada.

La vicenda si svolge a Napoli, all’interno del teatro Dei Martiri, è il 23 dicembre e la giovane attricetta Barbara (interpretata da Benedetta Valanzano), volubile e sognatrice, sta cercando di convincere il suo amante diversamente ammogliato Matteo (Maurizio Aiello), regista e proprietario del teatro, a trascorrere insieme a lei la serata dell’antivigilia di Natale.

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I due si accordano per una cena anticipata alle sei del pomeriggio, dato che Matteo tiene famiglia e sembra avere una consorte nuovamente incinta. Mentre all’interno del teatro si aggira il tuttofare Angelo Vicedomini (lo strepitoso Domenico Aria), Barbara dialoga con le quattro statue raffiguranti altrettanti personaggi dell’iconografia napoletana (una lavandaia, uno scugnizzo, un poeta e un “munaciello”), che soltanto lei è in grado di sentire e che, rappresentando il suo inconscio, si animano quando si sente sola.

L’attricetta, romantica e passionale, ha in serbo per il suo amante una cena molto particolare, volendo cucinare un astice che, però, non collabora ed aggiungendo un poco di cianuro ad una bottiglia di vino. Mentre Barbara si sta occupando dei preparativi, sulla scena irrompe Gustavo, un pony express – dipolomato perito elettrotecnico nel 1976! – vestito da Babbo Natale (Vincenzo Salemme) che deve consegnare un pacco dono…

C’è subito da mettere in chiaro che in questa commedia, che abbiamo avuto il piacere di vedere lo scorso anno, si ride molto e si ride di gusto, soprattutto nella prima parte. Un brillante lavoro di scrittura costituisce la solida base per dialoghi freschi e rapidi, leggeri ed inseriti in un meccanismo farsesco ingegnoso ed incalzante.

Grandi tessitori di giochi di parole e di equivoci linguistici, macinatori indefessi di tormentoni e di continui batti e ribatti in un italiano venato, intriso, “musicato” di scoppiettante napoletanità, sono, oltre al bravissimo e coinvolgente Salemme, attori di prim’ordine come lo strepitoso Domenico Aria, l’esilarante Nicola Acunzo (un “munaciello” irresistibile scolpito a Catanzaro!) ed il puntualissimo Giovanni Ribò (il poeta dal frasario ridondante che giammai desidera che si voli basso), volendosi anche rilevare l’ottimo contributo di Antonio Guerriero (lo scugnizzo) e dell’amabile Antonella Morea (la lavandaia).

La giovane Benedetta Valanzano, che definisce il suo personaggio “come una donna delusa dagli uomini e come una sognatrice che vive in un mondo tutto suo”, si fa notare specialmente nella seconda parte, soprattutto durante l’esecuzione delle canzoni e nella scena del tango, mentre Maurizio Aiello regala allo spettacolo una buona prova. Da encomiare anche il cast tecnico: in particolare ci piace evidenziare che le luci “disegnate” dal grande Umile Vainieri conferiscono suggestioni e profondità alle belle scene create da Alessandro Chiti.

Salemme – capocomico, interprete, scrittore, regista ed autore dei testi delle canzoni – è l’esilarante protagonista della vicenda e riempie la scena grazie alla sua cifra stilistica ben definita e alla sua capacità di improvvisare, riprendendo (ci pare) con grazia ed originalità l’idea che sta alla base del soggetto di un film che amiamo molto – “Fantasmi a Roma” di Antonio Pietrangeli – nel quale il personaggio interpretato da Eduardo, con cui il mattatore napoletano ha iniziato la sua carriera, è il solo a sentire la presenza degli spassosi spettri che amabilmente infestano la sua decadente casa nobiliare.

E ci sembra pure che, nella scena in cui Gustavo legge la lettera che Barbara ha scritto al suo amante, si strizzi affettuosamente l’occhiolino a Totò.

Nella seconda parte dello spettacolo c’è più spazio per le canzoni (musica di Antonio Boccia e parole di Salemme) e meno per lo sviluppo della storia, il ritmo diventa meno sostenuto e più rilassato, abbattendosi anche la cosiddetta “quarta parete” (il muro immaginario che separa la scena dagli spettatori) con gli attori che dialogano con il pubblico in un momento di improvvisazione potenzialmente esplosiva la cui efficacia dipende anche e soprattutto dalle risposte che daranno gli interlocutori seduti in platea.

Ci piace, in ultimo, sottolineare che la storia termina con un finale coraggioso e sorprendente, che chiaramente non sveliamo, nel quale c’è la chiave di lettura profonda della comicità, soprattutto di quella napoletana.

Giovanni Berti

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