Grande successo di pubblico, venerdì sera, per il concerto di Lucio Dalla e Francesco De Gregori al Gran Teatro di Viale Tor di Quinto. La coppia, riformatasi a trent’anni di distanza dal fortunatissimo tour di Banana Republic, per oltre due ore ha incantato gli spettatori romani con una convincente esibizione nel corso della quale sono state rivisitate parecchie gemme del loro sterminato repertorio. Tirando le somme, i due cantautori hanno proposto 28 pezzi (14 di De Gregori, 12 di Dalla, un nuovo brano che firmano insieme e una cover) riarrangiati in modo tale da consentir loro di duettare.E non è mancato nemmeno il classico duello tra “pistoleri” consumati: La Donna cannone contro Caruso!
Ma andiamo per ordine. Sono le 21.30 quando, con mezz’ora di ritardo, si spengono le luci in un surriscaldatissimo Gran Teatro. Sul palco, sormontato dalla scenografia creata da Mimmo Paladino, prendono posto i nove musicisti della band mentre al microfono viene annunciato tra gli applausi: “signore e signori: Dalla e De Gregori!“. Il cantautore bolognese, panama e giacca bianca, si posiziona alle tastiere, mentre il Principe, cappello grigio a tesa rigida e completo nero, si siede su uno sgabello imbracciando la chitarra e sistemandosi l’armonica.
Si parte con Tutta la Vita, un pezzo della recente produzione di Lucio Dalla, al termine del quale De Gregori dice semplicemente e con tono allegro: “grazie per essere venuti a sentire Dalla e De Gregori: Dalla è quello che si è fatto la barba per primo, De Gregori l’altro. Vi facciamo sentire qualche bella canzone, se vi piacciono battete le mani“.
E la promessa viene immediatamente mantenuta con l’esecuzione della struggente Anna e Marco (Lucio Dalla, 1979). Preceduta da un’introduzione allegra e swingata e dal suono del clarinetto di Dalla, arriva, riconoscibilissima e briosa, Titanic (al riguardo, temevamo non poco la tendenza “rimasticatrice” di De Gregori) seguita a ruota da un’altra bellissima traccia inclusa nello stesso album (Titanic,1982), ossia La Leva Calcistica della Classe ’68, che sa di campi polverosi di periferia, che racconta le paure e le speranze dei ragazzini che indossano le “scarpette di gomma dura” e che viene mirabilmente aperta e conclusa dal sassofono del compagno di strada del musicista romano.
Già da quest’inizio si capisce che siamo testimoni di un’operazione riuscita, nella quale le voci e gli strumenti dei due protagonisti si fondono con grande efficacia e naturalezza, profilandosi lo spettacolo non già come un mero amarcord ma come una nuova avventura, affrontata con l’intento di riesplorare e dare nuova linfa ai classici inclusi nella scaletta.
E’ il turno di Tu Non Mi Basti Mai, un’esagerata e totalizzante dichiarazione d’amore (firmata Dalla) che precede uno dei momenti più intensi della serata, vale a dire l’esecuzione di La Storia Siamo Noi, una delle perle del repertorio di De Gregori per la quale il Principe si siede al piano e alla quale il cantautore bolognese regala, nella parte centrale e finale, il prezioso contributo del suo clarinetto. Lo show è fin da subito entrato nel vivo, gli spettatori applaudono fragorosamente, ciascuno dei due “maneggia” con estremo rispetto la propria parte vocale nel pezzo dell’altro, sentendosi più libero di rielaborarla quando, invece, “gioca in casa”.
Cuffia da pilota degli anni venti in testa e posa comicamente fiera, Dalla è in piedi davanti al microfono per una divertentissima, frizzante e scanzonata versione della sua Nuvolari, durante la quale mima spassosamente la guida spericolata e il cambio delle marce, seguita da un’applauditissima Viva l’Italia, dotata di un’efficace introduzione folk (la chitarra e l’armonica di De Gregori, naturalmente!) e di un accattivante arrangiamento country. Il pubblico mostra di gradire e batte le mani con convinzione soprattutto quando vengono cantati i versi “viva l’Italia ma l’Italia tutta intera” e “viva l’Italia che resiste”.
Martellante ed ipnotica, quasi rappata, arriva successivamente Agnello di Dio, un pezzo di De Gregori nel quale, servendosi di liriche assai forti, si evidenziano vittime e carnefici della società contemporanea.
Ancora un momento molto toccante si ha con La Valigia dell’Attore, la canzone che De Gregori scrisse per Alessandro Haber e che è dedicata a chi lascia la propria vita nel camerino dovendone interpretare un’altra sulle assi, spesso sconnesse e polverose, di un palcoscenico. Imitati dai loro musicisti, Dalla e De Gregori lasciano la scena: l’attenzione ora è tutta per Marco Alemanno, cantante ed attore di teatro, perlappunto, che ha spesso collaborato con il cantautore bolognese e che qui recita il XXI canto da “La Fine del Titanic” del poeta tedesco Hans Enzensberger, giusto ed apprezzato raccordo tra il pezzo che precede e quello che segue, ossia L’Abbigliamento di un Fuochista (il terzo pezzo che viene estrapolato da Titanic).
Suscita applausi molto convinti anche 4/3/1943, che, pur avendo un titolo corrispondente alla data di nascita di Dalla, non è affatto un pezzo autobiografico. Durante l’esecuzione di questa meravigliosa canzone – di questa magnifica poesia, sarebbe più opportuno dire – vengono cantati i versi che furono lungamente censurati (“e anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino”), proposti accanto a quelli che li sostituirono (“e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”).
Dopo un’ora esatta di spettacolo, alle 22.30, si accendono le luci in teatro e tutti lasciano il palco. Mentre perdura il fastidioso “effetto serra” provocato dall’esagerato riscaldamento della sala, ci sorbiamo un intervallo di venticinque minuti, che sembra spezzare la continuità e l’intensità del concerto e durante il quale abbiamo modo di individuare tra il pubblico Luca Cordero di Montezemolo, Marco Travaglio e Pupi Avati, quest’ultimo amico di lunga data di Dalla.
Sono le 22.55 quando lo show finalmente riprende con Non Basta Saper Cantare, uno dei due nuovi pezzi che Dalla e De Gregori hanno scritto insieme in occasione della loro reunion per questo Work in Progress Tour 2010 (che continuerà anche nel 2011). Per fortuna, ci pensa la brillantissima e coinvolgente Disperato Erotico Stomp a rimetterci immediatamente in completa sintonia con lo show nonostante il lungo break.
E i pezzi successivi sono un crescendo di “colpi bassi”, di emozioni e poesie che ci stendono e ci conquistano, che ci fanno dimenticare le lancette dell’orologio e i messaggi sul cellulare: uno dopo l’altro arrivano Alice, Piazza Grande e L’Anno che Verrà. Ma non è affatto finita. Per usare un luogo comune: il meglio deve ancora venire, anche se a questo punto della serata gli spettatori sono stati già ripagati del costo del biglietto (peraltro, l’acustica del teatro, in certi settori, non è stata propriamente all’altezza della situazione).
Dopo la splendida A Pà e l’ingegnosa Futura, arriva Rimmel, una pietra preziosissima incastonata in un arrangiamento assai riuscito rispetto al quale ancora una volta (tiriamo di nuovo un sospiro di sollievo) De Gregori accantona il suo dylanesco anelito alla destrutturazione.
Al microfono Dalla dice che “dietro ad ogni canzone c’è un mistero, una storia“. In particolare, sta parlando di un pezzo risalente a quasi novant’anni fa, scritto da un musicista che si guadagnava da vivere suonando sulle navi di crociera, di un motivetto allegro che, attraverso canali misteriosi, arrivò fino in Germania ed approdò negli Stati Uniti. Il suo autore non ne ricavò praticamente nulla, ma Bing Crosby incise quel brano e vendette milioni di copie.
Seguirono le versioni di Nat King Cole, Thelonius Monk, Louis Prima e di tanti altri, fino ad arrivare a David Lee Roth dei Van Halen. La canzone si chiama Just A Gigolò e, nella nuova veste che le hanno voluto donare Dalla e De Gregori, diventa Solo un Gigolò. “Il testo, di cui abbiamo scritto ognuno la propria parte, non è riferito né a lui né a me“, aggiunge Dalla suscitando l’ilarità del pubblico, per poi controbbattere scherzosamente (suscitandone ancora di più) “c…o ridete?!?!?“. L’esecuzione è freschissima, divertente, trascinante. Applausi, applausi.
Il concerto sta puntando la prua verso il suo trionfale approdo avendo schivato i pericolosi iceberg della nostalgia: non siamo sul Titanic e, veleggiando regolarmente col vento in poppa, stiamo per arrivare al momento clou, ossia al duello tra “pistoleri” consumati cui facevamo cenno all’inizio di questo resoconto.
Sul palco rimangono solo Francesco De Gregori e il pianista Alessandro Arianti per una sentitissima, struggente, indimenticabile versione di La donna cannone. Inutile dire che gli applausi si sprecano – anche noi ci spelliamo le mani – ma, mentre De Gregori e Arianti lasciano la scena uscendo alla nostra sinistra, dal lato destro fa capolino Dalla, il cui sguardo sembra dire: “sei stato bravo, ma adesso ti sistemo io!”.
E quella che sentiamo è una canzone a dir poco magnifica, che il cantautore emiliano è riuscito persino a migliorare avvalendosi delle sue capacità vocali stratosferiche. Stiamo parlando di Caruso, naturalmente, qui impreziosita anche dalla chitarra di Bruno Mariani. Che meraviglia!!
Considerato il trattamento che viene riservato a Buonanotte Fiorellino, pensiamo che De Gregori non abbia resistito del tutto al desiderio di rendere irriconoscibile almeno un suo pezzo. Ma c’è anche da dire che la scelta di sovraccaricare di accordi e di ritmo questa canzone, che nella sua versione originale è leggera e benefica come la piuma di Forrest Gump, ci sembra persino un’inaspettata dimostrazione di umorismo autoreferenziale, data la concitazione con la quale viene eseguita.
Mentre la band si diverte a suonare l’inno di Topolino, Dalla e De Gregori presentano ad uno ad uno i componenti del gruppo che li accompagna in questa nuova avventura: a noi piace segnalare, oltre ai musicisti precedentemente citati, l’ottima vocalist Emanuela Cortesi. Una calorosa stretta di mano e poi Dalla e De Gregori, applauditissimi, lasciano il palco scegliendo uscite opposte.
Sono le 23.55 ma non è finita: dopo pochi minuti, con tutte le luci accese in teatro, c’è la possibilità e la gioia di ascoltare ben quattro bis: Santa Lucia, Canzone, Generale (che decine di spettatori decidono inopinatamente di perdersi solo per uscire prima degli altri) e la trascinante Balla Balla Ballerino, durante la quale tutti si alzano in piedi e molti corrono a bordo palco. Alle 24.15 i due grandi protagonisti della musica italiana salutano il pubblico e scompaiono dietro le quinte Lunga vita e prosperità a Dalla & De Gregori!
Giovanni Berti
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