“Se la storia fosse vera prenderò provvedimenti urgenti contro il responsabile, sarebbe un fatto gravissimo” così dichiara il Presidente del XX Municipio, Gianni Giacomini, che comunica di aver avviato una indagine conoscitiva in relazione alla denuncia di una signora di nazionalità tunisina che afferma di essersi recata ai servizi sociali del Municipio XX e di aver ricevuto il suggerimento di abortire perché non abbiente e senza un marito.
“Il Presidente Giacomini è schierato politicamente in favore delle vita per questo porta avanti tutti i giorni delle direttive amministrative per le pari opportunità, assistenza reale alla coppie giovani e alle giovani madri” si legge in una nota del suo portavoce.
L’iniziativa del presidente Giacomini prende le mosse da un articolo pubblicato ieri su l’Avvenire.it nel quale si denuncia la misconoscenza, all’interno dell’Ufficio Servizi Sociali del XX Municipio, dei CAV, i Centri aiuto per la Vita istituiti dal Comune di Roma a supporto delle donna sola, senza sostegno, incinta e che non vuole abortire.
Secondo l’inchiesta di Avvenire, Teresa, una donna tunisina incinta di tre mesi, senza alcuna fonte di sostentamento ed abbandonata dal compagno, decide di abortire. Poi trova la forza di reagire, decide di tenersi il figlio e si rivolge ai Servizi Sociali del XX Municipio, in cui risiede, per avere un supporto. Ma lì ottiene una risposta gelida. Secondo Teresa le assistenti sociali le avrebbero detto che nella sua situazione “sarebbe il caso di pensare all’interruzione di gravidanza”.
“Se la storia è vera – ha commentato Sveva Belviso, assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma – è un fatto gravissimo, avvierò al più presto un’indagine nel XX Municipio per capire come stiano realmente le cose e soprattutto per verificare se è un’abitudine costante quella di consigliare l’aborto”.
Così racconta il fatto l’Avvenire.it , ne riportiamo integralmente l’articolo a fima Alessia Guerrieri.
«Centri di aiuto per la vita? Non sapevo nemmeno cosa fossero prima che la ragazza me ne parlasse». Al dipartimento per i Servizi Sociali del XX municipio capitolino cadono dalle nuvole. Nulla sanno delle iniziative per sostenere le ragazze incinte che non vogliono abortire. All’inizio sono anche restii a parlare, ma negano comunque tutto.
La storia di Teresa, rivoltasi a loro al terzo mese di gravidanza, senza casa e senza lavoro, a cui è stata prospettata come soluzione l’aborto, la raccontano in maniera diversa. «Non è possibile che uno dei nostri operatori abbia dato una risposta del genere». Il funzionario provvisorio del servizio (qui si attende ancora la nomina del responsabile) non ha dubbi. Qui non facciamo miracoli certo, continua, ma «non abbiamo motivo di spingere una donna ad abortire». In sostanza si cerca di fare quel che si può, convivendo con la scarsità dei fondi, tra l’altro vincolati ad un «progetto sociale» e con tempi di erogazione epocali. «Non è poi così raro – continua – che gli utenti reagiscano nelle maniere più disparate, quando si aspettano delle risposte che per motivi di risorse o altro, non siamo in grado di dare».
Secondo lui, cioè, Teresa avrebbe nel migliore dei casi frainteso le parole dell’assistente sociale, oppure addirittura inventato la soluzione dell’interruzione di gravidanza «perché si aspettava qualcosa di diverso da noi».
Parlando con la diretta interessata, l’assistente sociale che segue Teresa, la replica imbastita di diplomazia è sempre la stessa. Il racconto della ragazza, secondo lei, è «strumentale». Ma a cosa? Ad ottenere qualcosa in più? «Le motivazioni possono essere molte – dice in maniera evasiva – sta di fatto che io non ho mai accennato nel colloquio con Teresa all’aborto, è stata lei ad informarmi che aveva anche pensato a questa soluzione, ma che non aveva avuto il coraggio di farlo. Perché avrei dovuto riproporglielo?». Il nostro modo di operare, aggiunge, è «quello dell’autodeterminazione della persona, noi vagliamo tutte le soluzioni partendo dalla rete familiare, amicale e delle strutture di accoglienza madre-bambino».
Fatto sta però, che pur avendo trovato per lei una struttura provvisoria per due mesi, ora Teresa deve ringraziare il Centro di aiuto per la vita se ha una tetto semi definitivo e un medico. In più per avere un sussidio si dovrà aspettare di «pianificare con la ragazza un progetto, un percorso, i fondi dipenderanno da questo – conclude – anche i tempi di erogazione sono variabili».
Aspettando la burocrazia, intanto, Teresa ha incontrato la sua buona stella, un amico vicentino che, tramite facebook, le ha fatto conoscere le volontarie del Cav e che ha donato al centro alcuni fondi per il suo bambino.
«Da noi ha ritrovato il sorriso e la speranza – racconta Francesca Siena del Cav -. La prima volta che l’ho incontrata era spaventata. Poi l’abbiamo sistemata in una casa-famiglia, ora ha un ginecologo che la segue gratis ed è stata inserita nel progetto “Madre Teresa” per cui avrà 250 euro al mese per un anno, oltre a tutti i beni materiali per suo figlio fino al quarto anno di vita».
Alla sua versione qui credono tutti, soprattutto perché «non è la prima futura mamma che racconta una storia del genere – prosegue Francesca -. Noi sconsigliamo sempre alle donne in gravidanza di rivolgersi ai servizi sociali prima della dodicesima settimana. Troppa la paura che le inducano, come è già successo, ad abortire».
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