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Gli invisibili di Viale Tor di Quinto

Galvanica Bruni

Quando sentiamo parlare del caporalato pensiamo subito alle regioni del Sud Italia, spesso oggetto di inchieste che denunciano la situazione di extracomunitari sfruttati come manovalanza in nero nei campi agricoli e nei cantieri edili. Spesso l’illegalità in cui vivono questi miserabili è l’arma che alimenta il mercato del lavoro nero. Ma anche nelle città più grandi, come Roma, il caporalato è ancora oggi uno strumento utilizzato per reclutare manovali, a volte portati in cantieri non sempre regolari. I caporali reclutano la manovalanza in punti prestabiliti la mattina prestissimo, le vittime spesso non possiedono alcuna specializzazione, ma sono pronte a farsi sottrarre parte della misera paga giornaliera come dazio obbligatorio per il “servizio” reso. Pur di lavorare.

E questa realtà esiste anche nel XX Municipio. Del “mercato della braccia” di viale Tor di Quinto VignaClaraBlog.it ne ha parlato diffusamente più di 2 anni fa (leggi qui) ma da allora ad oggi nulla è cambiato.

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Vi sarà certo capitato di percorrere Viale Tor di Quinto la mattina presto. Noi l’abbiamo fatto alle 8 una di queste mattine. Venendo da Ponte Milvio, passato il ponte della tangenziale, troviamo oltre 15 persone circa in una fila ordinata, mentre un’altra dozzina è sul marciapiede del senso inverso di marcia. Chi sono? Da dove vengono? Prevalentemente sono arrivati a Roma dalla Romania e dall’Albania, vivono spesso in condizioni precarie, in piccoli insediamenti costituiti da baracche nascoste negli anfratti dei grandi parchi o lungo gli argini del Tevere, insediamenti come quelli che di settimana in settimana vengono scoperti ed abbattuti. Per poi rinascere altrove.

Sono lì su Viale Tor di Quinto tutte le mattine, restano in attesa che qualche capo mastro li porti a lavorare presso qualche cantiere per 30, forse 35 euro, per un’intera giornata di lavoro, dai quali però detrarre la “provvigione” per il capo mastro. Questo è caporalato, svolto alla luce del sole a poche centinaia di metri dalla brulicante piazza di Ponte Milvio.

Decidiamo di provare a parlare con uno di loro per approfondire l’argomento, ma il clima non è dei più amichevoli. Offriamo una sigaretta, ci presentiamo e ciò fa sciogliere la diffidenza.

Dice di chiamarsi Mario e noi facciamo finta di credergli, è nativo di un paesino vicino Bucarest ed è venuto in Italia nella speranza di mettere quattro soldi da parte per costruirsi una casa nel suo paese. Ci spiega che le persone che vediamo sono quelle già scartate dai capi mastri delle “ditte” più importanti e aggiunge che se vogliamo vedere davvero quanti sono dobbiamo venire all’alba. I lavori per i quali vengono utilizzati sono solitamente quelli di manovalanza nei cantieri: impastare il cemento, scaricare il materiale dai camion,montare e smontare ponteggi, compiti che sono spesso anche i più pericolosi. Quelli più pagati sono i “mattonatori”, chi sa eseguire tracce elettriche e chi si è costruito col tempo la reputazione di gran lavoratore, sopratutto sobrio.

Mario vive in una baracca costruita con cartoni e pezzi di legno coperti da teli di nailon ma non ci rivela dove (la diffidenza è naturale), ci dice soltanto che dopo gli ultimi sgomberi si sono spostati più a Nord della capitale, dove non danno fastidio a nessuno “perchè siamo invisibili”.

Già, invisibili….tutte le mattine passano centinaia di macchine su Viale Tor di Quinto, ad un passo c’è un comando dei Carabinieri, poco oltre  la  sede del XX Gruppo di Polizia Municipale ed ancora più avanti quella del XX Municipio, ma loro restano degli uomini invisibili. Nelle miseria, negli incidenti sul lavoro, nei cantieri, nelle tangenti che devono pagare al caporale di turno sono sempre uomini invisibili.

Arriva un camioncino e Mario si precipita: serve manovalanza, offrono 35 euro. Ci allontaniamo mentre lo vediamo salire con altri due. Lo salutiamo con un cenno, lui ci risponde e poi sparisce come gli altri nel mondo degli invisibili di viale Tor di Quinto, gli invisibili sotto gli occhi di tutti.
Enrico Scandurra di Epiro

*** riproduzione riservata ***

 

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2 COMMENTI

  1. Avrò avuto 18 o 19 anni; era la prima volta che mi recavo in un cantiere; un appartamento al terzo piano, solo scale; all’epoca ero mingherlino, pesavo circa 62 kg, mentre i sacchetti di cemento da trasportare ne pesavano 50.
    Ricorso quell’altra volta che scavai una buca, pioveva e cristo quanto presto si formarono le vesciche sulle mani; quell’acqua sotto la pala sembrava volersela risucchiare; metà del compenso andò all’amico che mi aveva portato con sé e per questo protestai con il datore, povero piccolo ingenuo.

    Questa vita ad alcuni chiede troppo e non restituisce a sufficienza.
    Ad altri dà troppo e chiede sempre troppo poco.

    Ho imparato presto a capire che i conti non sarebbero mai tornati

  2. Un ringraziamento, come sempre, ad Enrico Scandurra per i preziosi resoconti di vita quotidiana che interessano la zona di Roma nord.
    Carlo

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