Segue la prima parte dell’articolo sull’Augusto di Prima Porta.
Le indagini non evidenziarono tracce di pigmento sul fondo della corazza e neppure sull’incarnato che quindi s’immaginava dovesse essere completamente bianco, come percepibile nella copia esposta, mentre s’ipotizzò che le frange metalliche del gonnellino dovevano avere il fondo blu, come d’altronde rappresentate nel calco, ma poi ridipinte in giallo per ovviare all’effetto dorato, particolare questo che non è stato evidenziato nella copia
Calco della Statua dell’Augusto di Prima Porta. Da Archeo Gennaio 2005Ma cosa vide l’autore nel lontano 1868 ad occhio nudo e senza l’aiuto delle moderne tecnologie? “..la tunica e la sopravveste sono colorite in rosso, le frange della corazza in giallo e via discorrendo..” e continua dicendo “le parti nude non sono di color carne, ma con un abile pulitura (lucidatura) e probabilmente con una specie di vernice-cera è stato dato maggior risalto alla bella tinta del marmo”. Purtroppo per gli occhi, le labbra e i capelli dice solo che si trattava di una tinta speciale. Quindi le frange in giallo erano ancora visibili come la vernice-cera, che doveva oltre a dar risalto al marmo, attenuare lo stacco tra le parti dipinte e l’incarnato. È probabile che le opere di manutenzione a cui la statua fu sottoposta nel corso di un secolo e mezzo abbiano portato via questa patina traslucida, non lasciandone alcuna traccia. Il valore di questa testimonianza appare chiara, mettendola a confronto con il risultato delle indagini eseguite dagli studiosi.
L’Augusto di Prima Porta in questa versione a colori può far suscitare sdegno, ma in realtà deve servire da stimolo a guardare l’antichità sotto una luce diversa come d’altronde lascia intendere anche l’autore dell’articolo: “..il precetto della moderna teoria artistica che la scultura debba operare senza l’aiuto dei colori non si trova comunemente osservato nell’arte antica..”. Certo questo non deve però essere travisato dagli eccessi, che invece di indirizzare la nostra percezione dell’antico nella giusta direzione ne amplifica il divario. In realtà è necessario tornare all’immagine del calco dell’Augusto di Prima Porta esposto nella mostra per precisare che gli ambienti e le atmosfere che facevano da cornice a queste sculture giocavano un ruolo talmente importante dalle quali non si può prescindere se si vuole comprendere l’effetto e insieme il gusto estetico di questi capolavori. Ciò è stato sottolineato dal Dott. Liverani, Ispettore per le Antichità Classiche dei Musei Vaticani e curatore scientifico della mostra, il quale precisa che “è la nostra idea di classico che va aggiornata e non sono i Greci e i Romani ha dover essere corretti.. come del resto si legge nella critica che il cronista fa a tal proposito nei confronti di un evento che accadde proprio nel XIX secolo, riportando ad attualità il dibattito di allora, lasciando a noi come eredità di avere cura e custodia della verità storica “..gli antichi non hanno sopraccaricato di colori le loro sculture come si è fatto in Londra coi getti in gesso del Partendone. Ma mediante l’uso sobrio e pieno di gusto di alcune gradazioni di tinte hanno inteso di accrescerne la precisione e l’effetto..” .
Licia Capannolo
Riferimenti Bibliografici.
Nuovo Giornale Illustrato Universale, 1868.
Daria Lucca e Andreas M. Steiner, L’antico a tinte forti. Archeo, n. 1 (anno XXI) Gennaio 2005 pp. 54-63.
Paolo Liverani, I colori del Bianco. Forma Urbis, novembre 2004.
Paolo Liverani, I colori del Bianco. Mille anni di colore nella scultura antica. Città del Vaticano, 2004, pp. 40-42.
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