Riceviamo da un nostro fedele lettore, l’avvocato Roberto Colica, una considerazione relativa ad una sentenza della Cassazione in fatto di animali che pubblichiamo volentieri.
So che l’argomento non è strettamente correlato con la vita quotidiana del nostro quartiere, ma la notizia dell’ennesima assurdità giurisprudenziale della suprema corte (scritta non a caso con la minuscola), merita qualche commento.
Dunque cosa è successo? Due gatti, anni fa (teniamo sempre presente i tempi della nostra giustizia…) rimasero intrappolati in una legnaia. Un uomo, dopo aver constatato che non era possibile prenderli in un altro modo, non ha potuto fare altro che sfondare la porta e trarre in salvo i due impauriti felini. Fin qui nulla di strano. Ma il guaio è che la legnaia non era sua ed il vicino di casa ha pensato bene di fargli causa. Solita lunghissima trafila giudiziaria: primo grado, appello e infine cassazione, che emette questa “fantastica” sentenza: l’animale domestico che si trova in stato di necessità non ha gli stessi diritti delle persone e dunque non si possono danneggiare i beni del vicino nel tentativo di salvare il proprio gatto o cane, rimasto intrappolato.
Se il salvataggio avesse come destinatario una persona, invece, il comportamento sarebbe lecito”. (sentenza n. 34589/08). L’uomo, già condannato nei precedenti gradi di giudizio, aveva presentato ricorso affermando di aver agito in stato di necessità, ed invocando l’art. 54 del codice penale che, appunto, sancisce che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Continua infatti la sentenza, spiegando che non è possibile invocare “il motivo concernente l’applicazione dell’articolo 54 del codice penale, in relazione al danneggiamento della legnaia al fine di salvare i gatti prigionieri, in quanto la suddetta norma, nel prevedere la non punibilità di chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè o altri dal pericolo di un danno grave alla persona, non fa alcun riferimento al pericolo di un danno grave agli animali, non potendosi pacificamente questi ultimi farsi rientrare nel concetto di persona” (sic!). Fantastico! Anni e anni di lotte per cercare di inculcare il sacrosanto principio della tutelabilità della vita di qualsiasi essere senziente, campagne (ipocrite!) sul “non lo abbandonate!”, riforme per cercare di ampliare l’ambito di applicazione delle norme riguardanti la punibilità del maltrattamento degli animali (è stato addirittura creato un nuovo titolo del Codice Panale: “titolo IX-bis – dei delitti contro il sentimento per gli animali”), tutto vanificato dalla miopia giudiziaria degli ermellini (parlo dei giudici non degli animali)! Ormai chiunque vorrà abbandonare un animale, sottoporlo a sevizie, lasciarlo chiuso per ore in auto sotto il sole, o chissà cosa (la letteratura sulle sevizie inflitte agli animali è purtroppo molto ampia) si sentirà autorizzato a farlo: che diamine, mica parliamo di esseri umani, lo ha insegnato pure la cassazione!
Mi convinco a questo punto sempre di più che aveva ragione Henry Louis Mencken: ”
L’ingiustizia si sopporta con relativa facilità: quello che fa male è la giustizia.”
Grazie per l’ospitalità.
Roberto Colica
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Sul principio non si può che essere d’accordo.
Mi domando solo se non si poteva chiedere al vicino di accedere alla legnaia e poi, ad un eventuale rifiuto, denunciarlo per crudeltà verso gli animali, ancorché perpetrata da un altro animale.
Ho letto questo post per caso, e devo dire che non mi trova d’accordo, pur essendo un amante degli animali, in particolare dei gatti. Signori miei, gli animali non possono avere gli stessi diritti di noi esseri umani! Certo che di buon senso sarebbe dovuto essercene anche in tribunale, visto che al danno di qualcosa preferisco la vita di qualcuno o quanto meno di qualcosa che vive, come ad esempio dei gattini!
Saluti
Pero che strano , a Viale di valle Aurelia il parroco ha fatto abbattere un muro per salvare un gatto pensava, invece i vigili del fuoco ne hanno trovati 3, al parroco è costato poi far richiudere quel muro.
Certo non dobbiamo mettere alla stessa stregua l’ essere umano e gli animali, anche perche la vita è la vita, nessuno discute su cio.
Bastava che il danno fose diviso come buoni vicini invece ……, ma la festivita del buon vicinato che aveva inaugurato l’ ex sindaco Walter Veltroni che fine ha fatto?
Appena si cambia registro si scordano le buone cose.
Purtroppo la suprema corte continua a non smentirsi.
E’ di oggi la notizia di un’ennesima decisione antianimalista di piazza Cavour. Cito testualmente un lancio Adn-kronos: ” Pigio’ sull’acceleratore per mettere in salvo un cane agonizzante, in sala operatoria, per questo una veterinaria livornese dovra’ pagare una multa per eccesso di velocita’. Lo ha deciso la Cassazione che ha accolto il ricorso del ministero dell’Interno contro l’annullamento di una multa per eccesso di velocita’ concesso dal giudice di Pace di Cecina, nel dicembre 2004, ad una veterinaria che aveva appunto superato i limiti di velocita’ per potere arrivare in ambulatorio il prima possibile per salvare un cane da un pericolo grave non altrimenti evitabile”.
La prima cosa che viene in mente ad uno come me che, da oltre 30 anni, batte i marciapiedi della (in)giustizia è che un magistrato onorario, e cioè il Giudice di Pace di Cecina, conosca la legge meglio dei giudici che formano la più alta magistratura nel nostro paese, o comunque mostri un volto più umano.
Ma poi mi viene in mente il mio precedente post sull’argomento e mi sovviene che la cassazione ha già stabilito che la vita di un altro animale non può essere tutelata come quella dell’australopiteco umano.
Perdonatemi se insisto sempre con questo argomento, ma vorrei fare notare la pericolosità della situazione: si fa presto a passare da una tutela affievolità degli animali a, che so, una discriminante nei confronti dei malati o dei bambini down, o, se preferite, nei confronti di chi non ha gli occhi o i capelli di un determinato colore.
Si fa presto a sentirsi superiori per un pretesto specioso, nel senso vero del termine cioè di appartenenza ad una specie che si considera “diversa” o “superiore”. Non penso di esagerare se ipotizzo che Hitler, ad esempio, abbia cominciato così le sue elucubrazioni da folle.
Stiamo in guardia perchè “i folli si precipitano là dove gli angeli non oserebbero posare il piede”.