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De Gregori, sotto le stelle dell’Auditorium a emozionàr

Galvanica Bruni

dg240.jpgCavea stracolma e meritato successo per il concerto che Francesco De Gregori ha tenuto mercoledì 15 luglio all’Auditorium Parco della Musica. Accompagnato da una band numerosa e affiatata, il cantautore romano ha ripercorso in due ore e in venticinque canzoni quattro decadi di carriera regalando emozioni, energia e divertimento.

Una rinnovata voglia di palco

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando De Gregori ingaggiava duelli con il suo stesso pubblico e si divertiva (?) a rendere i suoi brani quasi irriconoscibili e comunque in-cantabili. Poi, trent’anni dopo “Banana Republic”, è tornato Lucio Dalla e con lui una leggerezza antica e nuova. Una lunga serie di date memorabili, quelle a cavallo fra il 2010 e il 2011, con i due cantautori a suonarsele di santa ragione a colpi di capolavori (leggi qui) e i classici del Principe (finalmente) restituiti al loro respiro originale.

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La rinnovata voglia di palco di De Gregori, passata attraverso la pubblicazione e il successivo tour di “Sulla Strada”, raggiunge il suo culmine ai giorni nostri con “Vivavoce”, un doppio album in cui l’artista capitolino, con la sapiente produzione del fido Guido Guglielminetti, rivisita 28 canzoni nella struttura e negli arrangiamenti e ne trasferisce la riconquistata (e non dissacrante) freschezza nei palasport e nei teatri di tutta Italia.

Magro, determinato, diritto, divertito, sempre presente. Con gli occhi che cercano e incitano i suoi musicisti, a spostarsi di lato quando la band è protagonista. Con questo spirito e con questo atteggiamento si è presentato alla cavea, De Gregori. I classici passati attraverso “la cura” Vivavoce suonano alla grande, hanno uno spazio più ampio e una luce più splendente, e arrivano al cuore e alle gambe del pubblico, che, comunque, è invitato a rimanersene seduto.

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Folk, country, rock, canzone d’autore, un paio di pezzi insieme al fratello Luigi “Grechi” De Gregori e una manciata di brani per dare modo a Ambrogio Sparagna di imperversare e di portare ulteriore energia. Allora, ripercorriamolo insieme, questo magnifico concerto che senza cedimenti ha regalato centoventi minuti di emozioni e divertimento.

E quando arriva la musica a emozionar

Sono le 21.10 quando in una cavea gremita e accaldata si spengono le luci e fanno il loro ingresso sulla scena i musicisti e De Gregori.

Un inchino al pubblico, un ampio gesto del braccio destro a indicare la band e si parte con le suggestioni soft di Lettera da un cosmodromo messicano (MiraMare, 19.4.89, 1989), il gioiellino che introduce l’esplosiva Il Canto delle sirene (Terra di Nessuno, 1987) in cui è subito evidente l’estrema sintonia fra la chitarra elettrica di Paolo Giovenchi, il basso di Guglielminetti e la batteria di Stefano Parenti.

Dopo che Ti leggo nel pensiero (“faccio a pugni con te e poi ti vengo a cercare”) porta sul palco il dolce sapore della ballata country, è il momento di citare le allegre e effervescenti schitarrate di Chuck Berry con Finestre Rotte (Per brevità chiamato artista, 2008), un pezzo molto strutturato che comprende un’intro e una coda blues, e con la pedal steel guitar di Alex Valle a ricamare magistralmente sul tessuto sonoro.

Chitarra acustica e armonica, poi la band che entra prepotentemente: Viva l’Italia (Viva l’Italia, 1979) profuma di folk e di tradizione, prima che Il Panorama di Betlemme (Pezzi, 2005), punteggiata dal violino di Elena Cirillo, deflagri in una cavalcata rock dal testo quasi apocalittico (“questo cielo senza riparo, questo sipario di fiamme”).

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L’estrema dolcezza di Bellamore (Canzoni d’amore, 1992), una ballata delicata che si appoggia alla telecaster di Giovenchi, annuncia la straordinaria leggerezza di Caterina (Titanic, 1982): “e la vita, Caterina, lo sai, non è comoda per nessuno, quando vuoi gustare fino in fondo tutto il suo profumo devi rischiare la notte, il vino e la malinconia”. Poesia allo stato puro, applausi.

È ancora il violino della Cirillo, insieme al piano di Alessandro Arianti, a sostenere la successiva – bellissima e eterea – Atlantide (Bufalo Bill, 1976), mentre l’inarrivabile magnificenza cinematografica de La leva calcistica della classe ’68 (Titanic), qui introdotta dalla chitarra di Lucio Bardi e non dal piano, strappa applausi, speranze e malinconia, prima che il rock acido de La testa nel secchio (Pezzi) giunga come un pugno nello stomaco a rimescolare nuovamente le carte.

Generale (De Gregori, 1978), che ha perso il suo incedere militaresco a favore di una sonorità decisamente country-folk, arriva a metà concerto e segna uno dei momenti più struggenti dello show. De Gregori ringrazia il pubblico e introduce il primo ospite della serata: si tratta di suo fratello Luigi “Grechi” De Gregori, l’autore de Il bandito e il campione, storia emblematica di due amici, Costante Girardengo e Sante Pollastri, cui la sorte riserva destini contrapposti. I fratelli duettano ottimamente sul pezzo, prima che Grechi canti la sua bella e anarchica canzone d’amore Senza regole, con De Gregori ad accompagnarlo con l’armonica.

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La gioiosa levità di Niente da capire (Francesco De Gregori, 1974), con De Gregori che si diverte a mandare fuori tempo il pubblico negli stop & go che coincidono con il ritornello, precede Falso movimento, la graziosa ballata di “Sulla strada” (2012) che sul finale è impreziosita dalla tromba di Giancarlo Romani.

Buonanotte Fiorellino (Rimmel, 1975), si sa, è un capolavoro di semplicità e poesia, e l’esecuzione di stasera non lo conferma: lo stra-conferma!!! Dal vivo ci guadagna pure Vai in Africa, Celestino! (Pezzi), bella, tirata e intensa per dire che “ognuno è figlio della sua sconfitta e ognuno merita il suo destino”, che “ognuno è vittima e assassino”, che “ognuno porta la sua croce, ognuno inciampa sul suo cammino”.

Arriva il momento del secondo ospite ed è tempo trasferirci dall’altra parte dell’oceano: Ambrogio Sparagna, con la sua fisarmonica e il suo ballo scatenato, unitamente all’effervescente sezione fiati composta da Romani, Stefano Ribeca (sax) e Giorgio Tebaldi (al trombone, che ringraziamo per la foto scattata direttamente dallo stage e che qui pubblichiamo), rendono memorabile l’esecuzione di Sotto le stelle del Messico a trapanàr (Scacchi e tarocchi, 1985), che alle 22.38, fra gli applausi scroscianti, conclude il set prima dei bis.

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Passano due minuti e la band, insieme a Sparagna e De Gregori, torna sul palco. Arriva la meravigliosa, incontenibile, insuperabile L’abbigliamento di un fuochista (Titanic), con i fiati ancora prepotentemente sugli scudi; poi sulla scena restano solo De Gregori e Arianti: ecco le note inconfondibili de La donna cannone, per voce e piano. Magia, incanto, miracolo.

Ecco il violino di Elena Cirillo. Commozione, la grande bellezza. Lacrime e applausi, ma non è ancora finita. Perché è il momento di una magia nuova e antica, di un miracolo che si perpetua da quattro decadi, è il momento di Rimmel, che alle 22.55 conclude la prima tornata di bis.

Il pubblico del parterre si riversa a bordo palco, neanche un minuto e tutti tornano in scena.

Le suggestioni bucoliche di Volavola (Per brevità chiamato artista), con Sparagna che pur non amplificato si diverte come un matto, precedono la bellezza stentorea di A chi, la cover di “Hurt” di Roy Hamilton portata al successo da Fausto Leali e qui ben supportata dalla sezione fiati, e il divertente rimescolamento di “Buonanotte Fiorellino”: alle 23.10, dopo due ore esatte, infatti, Fiorellino 12#35 scrive la parola fine ad uno show intenso e gioioso, emozionante e pieno di poesia.

Giovanni Berti

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